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Cannavaro ha 50 anni: 'Ho vinto, ho ragione a sentirmi presuntuoso. In Arabia non mi pagavano, all'Inter si sono pentiti...'
Che effetto fa?
«È una tappa importante. L’età della serenità, ecco. Oggi sono un uomo più vecchietto (ma anche no, sorride), mi sento bene e in forma e di questo ringrazio Dio. Tiro la linea: ho fatto calcio ad alti livelli, ho iniziato nella squadra della mia città, ho vinto in piazze importanti. Sono l’ultimo italiano che ha un Pallone d’oro in bacheca. Ho avuto fortuna? Forse sì. Ma sono stato anche bravo a farmi trovare pronto. Bisogna saperci salire sui treni, quando passano. Non ho mollato nulla. E mica è finita...».
Al Benevento non è andata bene.
«Non ho trovato una situazione florida e se fossero arrivati giocatori nel mercato di gennaio forse le cose sarebbero andate diversamente. Resta un’esperienza importante».
Perché, secondo lei, non ha ancora una squadra?
«Perché sono tutti convinti che l’allenatore debba fare la gavetta in Italia, come se l’esperienza all’estero non contasse. Invece è fondamentale, ti apre la mente, ti forma».
È stato tra i primissimi ad allenare in Arabia.
«Ero all’Al Nassr, la squadra dove gioca Ronaldo. Altri tempi: andammo via quasi tutti perché non ci pagavano gli stipendi. Raccontarlo ora sembra un paradosso».
L’Arabia è oggi il nuovo Eldorado, contano così tanto i soldi per un calciatore?
«Non facciamo gli ipocriti, è difficile dire no a tutti quei soldi. Ma in ogni caso è anacronistico continuare a pensare che l’Italia sia il campionato più difficile, la Premier quello più bello. Il calcio è cambiato, e poi i giocatori hanno 10 anni di attività, non possono permettersi di dire qui sì e qui no».
Ha un’idea di quanto ha guadagnato? Da calciatore e da allenatore?
«Certo che ce l’ho. Ed è tanto. Ma ho anche speso. I soldi servono ma come mezzo».
Da 30 a 50, cos’è cambiato?
«All’epoca mi sentivo Superman. Bello, forte, con gli addominali scolpiti. Avevo il mondo ai piedi ma mi godevo poco: dovevo fare, costruire, raggiungere. Mi sfuggiva il piacere delle piccole cose. A 50 anni ho scoperto il mare, la montagna, le passeggiate, la bicicletta che oggi per me è una compagna di vita».
Che calciatore è stato?
«Un soldato: allenamenti, rigore e pasti salutari. Concentrato solo sull’obiettivo».
Quando si guarda allo specchio cosa pensa?
«Sono sereno e... bello! Meno vanitoso rispetto a 20 anni fa, meno narciso ma più consapevole».
Ha l’etichetta di presuntuoso, concorda?
«Ho vinto tanto da calciatore e da allenatore mi sono fatto rispettare, ne sono orgoglioso. Se questa è presunzione, ho ragione ad esserlo».
È stato in tante squadre, qual è quella che l’ha resa più felice?
«Il Napoli, iniziare lì è stato un sogno e poi tutte quelle dove ho vinto. Non ci sono maglie o bandiere: ho dato il massimo ovunque».
All’Inter sembrava in declino, va alla Juve e sfonda.
«Avevo un infortunio alla caviglia, il secondo anno non si sono fidati e probabilmente quando sono andato via si sono pentiti».