Siamo tutti un po' Kiraly. Questione di simpatia, non di tifo. Non siamo ungheresi, non ce l'abbiamo con i norvegesi, ma ieri sera, al fischio finale, abbiamo sorriso. Kiraly ce l'ha fatta, per la prima volta nella sua carriera difenderà la maglia della sua nazionale nella fase finale di un Europeo. Ce l'ha fatta a 39 anni, che saranno 40 quando a giugno sarà sui campi di Francia a cantare l'Himnusz, l'inno ungherese. Ha vinto Kiraly, abbiamo vinto tutti. Perchè Kiraly, che letteralmente significa "Re", è il nostro Re, rappresenta tutti noi, rappresenta chi ama questo sport nella sua versione poetica, più pura. Kiraly è il calcio spensierato, è l'antitesi di quello moderno, nel quale troppo spesso i campi sono scambiati per passerelle di moda. Kiraly è uno di noi, è uno che bada alla sostanza. Con le sue parate sgraziate, con i suoi pantaloni della tuta grigi, da jogging, marchio di fabbrica e portafortuna fin dal 1996 quando, per colpa di un lavaggio mancato, ha dovuto abbandonare quelli neri e ha vinto 8 partite di fila, conquistando la salvezza. Kiraly è un nostro amico, un nostro collega, del calcetto del lunedì sera. E' il portiere di una partita tra scapoli e ammogliati, spedito tra i pali con una divisa di fortuna, recuperata in fondo all'armadio. Kiraly è la gioia di giocare a calcio. Federico Zanon @Fedezanon15