Giacomo: cara Inter, com'è difficile staccarsi da Papà Moratti
Caro Presidente,
oggi è come se improvvisamente fossimo diventati maggiorenni e lei ci invitasse a uscire di casa.
È proprio il caso di dirlo, noi tifosi nei suoi confronti ci siamo comportati da bamboccioni.
Presidente, lei è stato in questi 18 anni un papà premuroso, non ci ha fatto mancare niente: non dimenticheremo mai il giorno in cui si è presentato con un giocattolo di nome Recoba, altisonante come Buzz Lightyear (...verso l’infinito e oltre!) ma efficace e maldestro come il gatto Silvestro. E quanti lunedì mattina ci si svegliava e scoprivamo che lei aveva licenziato l’allenatore: ma quanti ne ha cambiati?
Ma lei, Presidente, se si è arrabbiato così tanto con gli uomini in panchina e se ha fatto ogni tanto degli incauti acquisti è perché si è sempre augurato il meglio per la sua famiglia nerazzurra. Ricordo ancora quel giorno di luglio del 1997, io ero sul prato di San Siro con i miei amici Aldo e Giovanni e avremmo dovuto annunciare a 80.000 spettatori il nome di Ronaldo; i miei soci si vergognavano e mi passarono il microfono: non so come riuscii a pronunciare quel nome, talmente era carico di magica aspettativa. Era come se avesse dovuto iniziare l’Era della Gioia.
A parte una bellissima Coppa Uefa vinta a Parigi, sappiamo come è andata a finire, l’Era delle Catastrofi si è abbattuta su di noi: Ronaldo si è rotto due volte, sconfitte, sconfitte, sconfitte fino a quel terribile giorno di maggio: evidentemente quello è il giorno scelto dalla storia in cui i grandi devono cadere: «Noi fummo, dato il mortal sospiro...».
In quei momenti tristissimi noi, Presidente, abbiamo temuto che lei ci abbandonasse, come un padre di famiglia che un mattino esce di casa e non torna più: del resto anche noi nei nostri incubi notturni ci chiedevamo se era possibile cambiare squadra, o farsi operare al cervello e farsi espiantare quella malsana voglia di tifo e dedicarsi come tutte le persone sensate ad altri hobby e passioni tipo la filosofia e la collezione delle olgettine. Ma non era possibile: ci eravamo svegliati ancora nerazzurri.
Non avevamo nemmeno la forza di reagire, nemmeno quando il mercoledì ci consigliavano i film da vedere mentre loro, diavoli e gobbi, guardavano le loro squadre in Champions League. Secondo me lei, Presidente, quando andava al cinema il mercoledì non riusciva a concentrarsi sulla pellicola ma fantasticava come noi sulla squadra da allestire per il campionato successivo.
E così, film dopo film, passando da horror come «Gresko», parodie come «Vampeta» nei panni del vampiro, cartoni animati come «Okan Buruk ed Emre» e comici dove un malato indossava la maglia di Sforza come pigiama, sarà stato lì, in qualche cinema di Milano, che piano piano le saranno venuti in mente anche Maicon, Milito, Julio Cesar, Cambiasso, Eto’o, Sneijder, Samuel, Lucio, Pandev, Thiago Motta, Stankovic. Quella formazione andava guidata da un tipo speciale e lei Presidente chissà che film ha visto quando si è fatto venire in mente lo Special One: Mission impossible? Oppure Orizzonti di gloria?
E finalmente, lei e noi interisti, abbiamo smesso di andare al cinema di mercoledì, e seppure forti della nostra cultura cinematografica non immaginavamo un happy ending come il Triplete.
Le confesso che quel 22 maggio, prima che l’arbitro fischiasse l’inizio della finale di Champions League contro il Bayern, ho rivolto una preghiera là in alto: se Ci avesse fatto vincere la Coppa, non avrei chiesto niente per l’Inter per i prossimi 10 anni.
Ed eccoci alla fine: dopo 18 anni giustamente lei non ha più voglia o non ha più la possibilità di mantenere i nostri sogni.
Dai prossimi giorni avremo un proprietario indonesiano: certo che noi interisti siamo bizzarri anche in questo: tutti vendono a nababbi russi o a paperoni arabi e noi agli indonesiani! Ma come si dirà bauscia in indonesiano?!
Siamo sicuri Presidente? Siamo in buone mani?
Via, non le chiedo più niente.
Così come mio padre ebbe a ringraziare suo padre, ora tocca a me: grazie Presidente Massimo Moratti, ci sta già mancando.
P.S.: a proposito, se qualche maligno continua a sostenere che l’Inter ci ha messo 45 anni per rivincere la Champions League a causa di scelte dirigenziali sbagliate, e di acquisti inopportuni, sappia che non è vero: mio padre la sera di Inter-Benfica, 1965, prima del fischio d’inizio si mise a pregare in questo modo: «Fai vincere la Coppa dei Campioni per il mio fiùlet che domani va in classe a vantarsi con i suoi amichetti milanisti e juventini, ed io non ti chiedo più niente per 45 anni!».
Noi interisti, uomini di fede, lo sappiamo che la preghiera è potente ed esaudisce: è per quello che stiamo già pregando per il nuovo Presidente, ad anche per noi tifosi, perché nonostante tutto, domani mattina ci risveglieremo ancora nerazzurri.
Giacomo Poretti
(LaStampa.it)