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George Weah: "Timothy non poteva dire no alla Juventus. Milan? Ne avevo parlato con Maldini"
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SLIDING DOOR - Nell’intervista a La Repubblica, Weah ha rivelato che il figlio è stato vicino a giocare questa partita a maglie inverse. Il possibile approdo al Milan risale a quando c’era ancora Paolo Maldini, che con George ha vinto due scudetti nel 1996 e nel 1999: “Avevo parlato di Timo con Maldini, c’era la possibilità di farlo andare al Milan, ma non si è concretizzata. Quando mio figlio mi ha accennato della Juve, gli ho detto di non esitare neanche un momento. Ne abbiamo discusso con la mamma e il manager e tutti siamo stati d’accordo: non si poteva dire di no a un’opportunità che milioni di ragazzi sognano ma che soltanto in pochi hanno. Al di là del mio tifo, è la squadra giusta per lui”.
THURAM - A Torino Timothy ha trovato, da quest’anno, Khephren Thuram, figlio di Lilian, compagno di George Weah al Monaco: “Con Lilian siamo stati compagni di squadra al Monaco, lo chiamavo il mio piccolo fratello oppure Chou Chou: eravamo sempre insieme ed è bello che i nostri figli riannodino il legame che avevamo i loro padri”.
DA LONTANO - Non sarà a Milano, ma farà il tifo dalla televisione per il figlio di cui è il primo tifoso. Gli impegni, afferma a malincuore a La Repubblica, gli impediscono di venire in Italia con regolarità: “E’ sempre bello rivedere i vecchi amici e avere l’opportunità di seguire Timothy dal vivo, ma purtroppo i miei impegni mi impediscono di farlo come e quanto vorrei. Quando torno mi mostrano simpatia persino gli interisti, mi sorridono, mi chiamano Giorgio e io gli dico sempre: voglio bene a tutti, belli e brutti. Sono venuto a gennaio per Juve-Empoli dopo quindici anni. Sono poi tornato qualche settimana fa prima di andare a Parigi per il Pallone d’oro. Però guardo in tv tutte le partite della Juve: prima da tifoso, adesso per Timo. E alla fine ci sentiamo sempre per telefono”.
IL RAPPORTO CON TIMOTHY - Che rapporto hanno papà e figlio? George, da papà, cerca di dare i giusti consigli, senza intromettersi nelle decisioni dell’allenatore: “E’ molto intelligente, non ha bisogno dei miei consigli. Io sono suo padre, è l’allenatore che deve dirgli come e quando sbaglia. Fin da quando era piccolo gli ho detto di giocare a modo suo, senza andare a guardare come giocava suo papà. Non voglio mettergli confusione in testa né pressione. L’unica cosa che gli ripeto sempre è di giocare per la squadra, che se anche entra in campo per un solo minuto deve dare il massimo e che non importa se ha fatto gol oppure no. L’anno scorso era un po’ deluso, non aveva fatto bene e non era nel suo ruolo ideale, ma adesso è molto contento. È giovane, sbagliare gli fa bene”.