Gentile, Prandelli e Tardelli: desaparecidos, traditi senza un perchè
Un giorno, al termine di una partita di campionato che la Juventus aveva dominato e mentre il capannello di cronisti assediava il Trap, ce ne stavamo in un angolo a bere un caffè e fumare una sigaretta. Indica con lo sguardo il mucchio in piena attività oratoria e mi fa: “Vedi tutti ad arruffianarsi il Trap che pure lo merita se vogliamo, ma la verità è che se per una settimana ci allenassimo da soli e poi scendessimo in campo privi della sua presenza in panchina vinceremmo egualmente e nello stesso modo che ci capita di fare adesso. Siamo troppo forti”. Ovviamente mi guardai bene dallo scrivere quella confidenza, dopo essermi ben accertato che nessun altro avesse sentito le parole di Francesco. Di sicuro non era così che funzionava, ma un fondo di verità in quella frase si poteva trovare. In effetti quelli erano i tempi in cui nessun “mister” era ancora un divo al pari dei giocatori. A quei tempi il tema del “mercato” teneva banco nelle discussioni da bar esattamente come adesso. Sono cambiati i nomi e i milioni si sono trasformati in miliardi ma la suggestione per il gioco dello scambio di figurine è identico. La novità, semmai, sta negli “obbiettivi” che ciascun tifoso si augura che la sua società riesca a raggiungere. Non solo bomber, difensori, centrocampisti o comunque giocatori ma anche allenatori. La figura del mister, insomma, ha assunto una valenza quanto mai determinante per le sorti della squadra del cuore. Un mercato “parallelo” che tiene in ansia presidenti e tifosi. Come dire, per la buona navigazione conta tanto la ciurma quanto il comandante.
E allora mi tornano in mente tre amici. Claudio Gentile, Marco Tardelli e Cesare Prandelli. Nobilitati da un calcio epico che ebbero a frequentare come protagonisti e dopo l’iscrizione sacrosanta al “club dei mister” emergenti oggi figurano nell’elenco dei “desaparecidos” per ciò che riguarda la gestione di una panchina. La qual cosa non provoca solamente stupore e meraviglia, ma conduce verso il cono d’ombra del dubbio. Partendo dalle iniziali dei loro cognomi, mi piace definire la compagnia con l’acronimo di “GTP” ovvero “gente tradita (senza un) perché”. Almeno una straccio di motivazione plausibile oltreché ufficiale. Eppure tutti e tre, in un passato ancora molto prossimo, hanno dimostrato di poter essere eccellenti allenatori dopo essere stati grandi giocatori. Eppure nessuno dei loro nomi è stato menzionato nelle fasi, più cruciali e non, delle trattative per la stagione che andrà presto a incominciare. Pardon, di Prandelli è stato detto. Sembrava fatta con la Lazio di Lotito, salvo veder arrivare nella capitale Bielsa. La beffa dopo il danno, per Cesare. Pensate, dopo il Mondiale brasiliano lo voleva il Marsiglia che poi, all’ultimo, virò manco a dirlo proprio sul “Loco”. Esattamente come ha fatto la Lazio. Una maledizione. Per Gentile e Tardelli, invece, manco lo straccio di un fuggevole pensiero per un posto da allenatore in un Paese dove siamo tutti “mister”. Le ragioni di una simile indifferenza da parte degli addetti ai lavori nei confronti della “GTP” rimangono oscure. Rileggendo bene, però, i trascorsi e l’attualità di questi tre personaggi emergono due dati significativi sui quali è possibile riflettere e magari tirare un paio di conclusioni. Gentile, Tardelli e Prandelli hanno avuto modo, tutti e tre seppure in maniera e situazioni differenti, l’opportunità di frequentare il Palazzo del Calcio dal di dentro. E, in quelle stanze federali, nessuno mai potrà sapere che cosa è realmente accaduto. Questa è la prima. In quanto alla seconda è bene sapere che nessuno dei tre “desaparecidos” è mai stato manco sfiorato dall’idea di affidarsi nelle mani dei potentissimi “signori del dieci per cento” ovvero i procuratori per trovare quella sistemazione professionale che pure meriterebbero. Mosche bianche delle quali è bene diffidare, insomma. Normale, dunque, che il dubbio iniziale diventi sospetto e, forse, anche qualcosa di peggio.