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Tavecchio ruba la scena a Conte: un misto tra Löw e il disturbatore Fortini
Una sequenza esilarante. La conferenza stampa tenuta domenica a Montpellier da Antonio Conte merita di passare alla storia non tanto per le accorate parole d’addio del CT, quanto per il campionario di gesti, pose e smorfie esibito dal presidente federale Carlo Tavecchio. Uno spettacolo trash da antologia del “disturbatorismo televisivo” che pone il ragioniere di Ponte Lambro ai livelli di un Gabriele Paolini o di un Mario Fortini. La dimostrazione definitiva di come, in Francia, la nazionale azzurra sia andata non soltanto al di sopra delle proprie possibilità, ma anche nettamente oltre il livello politico e dirigenziale oggi offerto dal calcio italiano.
Potete apprezzare coi vostri occhi, e con un’avvertenza: guardate soltanto Tavecchio, lasciate perdere ogni altro dettaglio. Si comincia con Antonio Conte che prende la parola, e immediatamente Tavecchio sbuffa. Il CT è seriamente provato, e questo gli dà un tocco d’umanità che lo rende apprezzabile anche agli occhi di chi in questi anni non gli ha risparmiato critiche. Conte stenta a iniziare il discorso, e in quel mentre Tavecchio, come se nulla fosse, si appresta a estrarre il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni. Dalla platea dei giornalisti parte un applauso sincero al CT, che non nasconde quel momento di fragilità. E nel mezzo di questo momento emotivamente intenso, il ragionier Tavecchio si accorge d’essere andato vicino a pestare una cacca. Arresta il gesto di tirare fuori il fazzoletto, ma rimane a metà strada, con un sorriso inebetito stampato in faccia che varrebbe il prezzo di un biglietto da prima alla Scala. Poi però non riesce più a trattenersi e, mentre l’applauso dei giornalisti prosegue, estrae quel fazzoletto delle dimensioni d’un lenzuolo e soffia rumorosamente il naso. Poi si dà un’asciugata, guarda la sua opera d’arte su tela mentre accanto a lui un addetto lo scruta imbarazzato, e prende a piegare il fazzoletto-lenzuolo.
A questo punto, mossa a pietà, la regia passa a un’inquadratura da dietro il tavolo della conferenza stampa. Una scelta di qualità scadente dal punto di vista televisivo, ma inevitabile viste le circostanze. E persino inutile. Perché quando l’inquadratura torna frontale, Tavecchio risbuca con quel fazzoletto che pareva stesse mettendo in tasca, se lo ripassa sul naso avvicinandosi pericolosamente al CT. Che volesse offrirglielo? Dopo che finalmente il fazzoletto viene riposto, sembra finita. E invece no. Perché il ragionier Tavecchio continua a agitarsi sulla sedia come se friggesse. E a quel punto ecco la nuova prodezza: si ficca un dito nell’orecchio, dà una trivellatina, e osserva ciò che ha estratto. E dopo aver lasciato passare un attimo, mentre Antonio Conte continua a cercare le parole, si dà una bella scaccolata alle unghie, con successiva schicchera, come se lanciasse lontano il mozzicone di sigaretta. Chissà se qualcuno in prima fila ha rischiato d’essere centrato?
In regia capiscono che il presidente federale non è proprio inquadrabile. Sicché passano al profilo del CT (che nel frattempo si è dato anche lui una scaccolatina…). Ma non può durare a lungo, e quando si torna a riprendere i due ecco che Tavecchio prende a fare smorfie come se fosse appena stato dall’igienista dentale. E continua torturando la fede nuziale con mano posta di palmo e di dorso, poi mette due dita a sigillare le narici, si dà un’altra passata al naso, e infine prende a guardarsi intorno come se si chiedesse quando diavolo arrivi ‘sto catering. Continuare a descrivere i gesti nel dettaglio toglierebbe il bello del vederli. Va rimarcato solo il passaggio in cui l’addetto gli passa un pizzino. Tavecchio lo maneggia un attimo, e da come lo scruta si ha l’impressione si tratti d’un documento scritto in cirillico.
Dopo che Conte finisce di parlare, si alza e va via lasciando il presidente federale lì a rispondere ai giornalisti. E a dire il vero, sulle prime, i giornalisti vanno tutti dietro il CT, con Tavecchio che rimane lì a guardarsi intorno e a misurare quanto conti per la stampa italiana e per l’opinione pubblica. Quando infine prende la parola, devono fare sforzi immani per riuscire a fargli far pace col microfono. Il presidente parla di “questa nostra chiamiamola spedizione” (tu chiamale, se vuoi, spedizioni). E poi piazza la frase storica, da Discorso di Fine Anno del Presidente della Repubblica: “Ringrazio prima di tutto il popolo italiano, che è ritornato nelle strade con la maglia azzurra, è ritornato con i suoi valori, con un senso d’unità. In un momento in cui le nazioni si stanno… distinguendo [sic!], noi vogliamo dare, essere presenti anche con questa forma di esteriorità non di poco conto”. Questo signore esce rafforzato dalla “chiamiamola spedizione” dei Campionati Europei. E noi italiani continueremo a ridere, pur di non spararci su un piede.
Potete apprezzare coi vostri occhi, e con un’avvertenza: guardate soltanto Tavecchio, lasciate perdere ogni altro dettaglio. Si comincia con Antonio Conte che prende la parola, e immediatamente Tavecchio sbuffa. Il CT è seriamente provato, e questo gli dà un tocco d’umanità che lo rende apprezzabile anche agli occhi di chi in questi anni non gli ha risparmiato critiche. Conte stenta a iniziare il discorso, e in quel mentre Tavecchio, come se nulla fosse, si appresta a estrarre il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni. Dalla platea dei giornalisti parte un applauso sincero al CT, che non nasconde quel momento di fragilità. E nel mezzo di questo momento emotivamente intenso, il ragionier Tavecchio si accorge d’essere andato vicino a pestare una cacca. Arresta il gesto di tirare fuori il fazzoletto, ma rimane a metà strada, con un sorriso inebetito stampato in faccia che varrebbe il prezzo di un biglietto da prima alla Scala. Poi però non riesce più a trattenersi e, mentre l’applauso dei giornalisti prosegue, estrae quel fazzoletto delle dimensioni d’un lenzuolo e soffia rumorosamente il naso. Poi si dà un’asciugata, guarda la sua opera d’arte su tela mentre accanto a lui un addetto lo scruta imbarazzato, e prende a piegare il fazzoletto-lenzuolo.
A questo punto, mossa a pietà, la regia passa a un’inquadratura da dietro il tavolo della conferenza stampa. Una scelta di qualità scadente dal punto di vista televisivo, ma inevitabile viste le circostanze. E persino inutile. Perché quando l’inquadratura torna frontale, Tavecchio risbuca con quel fazzoletto che pareva stesse mettendo in tasca, se lo ripassa sul naso avvicinandosi pericolosamente al CT. Che volesse offrirglielo? Dopo che finalmente il fazzoletto viene riposto, sembra finita. E invece no. Perché il ragionier Tavecchio continua a agitarsi sulla sedia come se friggesse. E a quel punto ecco la nuova prodezza: si ficca un dito nell’orecchio, dà una trivellatina, e osserva ciò che ha estratto. E dopo aver lasciato passare un attimo, mentre Antonio Conte continua a cercare le parole, si dà una bella scaccolata alle unghie, con successiva schicchera, come se lanciasse lontano il mozzicone di sigaretta. Chissà se qualcuno in prima fila ha rischiato d’essere centrato?
In regia capiscono che il presidente federale non è proprio inquadrabile. Sicché passano al profilo del CT (che nel frattempo si è dato anche lui una scaccolatina…). Ma non può durare a lungo, e quando si torna a riprendere i due ecco che Tavecchio prende a fare smorfie come se fosse appena stato dall’igienista dentale. E continua torturando la fede nuziale con mano posta di palmo e di dorso, poi mette due dita a sigillare le narici, si dà un’altra passata al naso, e infine prende a guardarsi intorno come se si chiedesse quando diavolo arrivi ‘sto catering. Continuare a descrivere i gesti nel dettaglio toglierebbe il bello del vederli. Va rimarcato solo il passaggio in cui l’addetto gli passa un pizzino. Tavecchio lo maneggia un attimo, e da come lo scruta si ha l’impressione si tratti d’un documento scritto in cirillico.
Dopo che Conte finisce di parlare, si alza e va via lasciando il presidente federale lì a rispondere ai giornalisti. E a dire il vero, sulle prime, i giornalisti vanno tutti dietro il CT, con Tavecchio che rimane lì a guardarsi intorno e a misurare quanto conti per la stampa italiana e per l’opinione pubblica. Quando infine prende la parola, devono fare sforzi immani per riuscire a fargli far pace col microfono. Il presidente parla di “questa nostra chiamiamola spedizione” (tu chiamale, se vuoi, spedizioni). E poi piazza la frase storica, da Discorso di Fine Anno del Presidente della Repubblica: “Ringrazio prima di tutto il popolo italiano, che è ritornato nelle strade con la maglia azzurra, è ritornato con i suoi valori, con un senso d’unità. In un momento in cui le nazioni si stanno… distinguendo [sic!], noi vogliamo dare, essere presenti anche con questa forma di esteriorità non di poco conto”. Questo signore esce rafforzato dalla “chiamiamola spedizione” dei Campionati Europei. E noi italiani continueremo a ridere, pur di non spararci su un piede.