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    Genoamania: ma quale sfortuna. Se non giochi, non vinci

    Genoamania: ma quale sfortuna. Se non giochi, non vinci

    • Marco Tripodi
    Per favore nessuno abbia il coraggio di parlare di sfortuna.
    Perdere al 94' una sfida il cui 0-0 sembrava inciso nella roccia causa dolore e rabbia. Inevitabile prendersela con la sorte. Umano cercare nelle piegature del destino una consolazione che renda meno amaro un esito così negativo. La Dea Bendata però, nella sconfitta patita ieri dal Genoa in casa del Torino, non ha recitato alcun ruolo.  Per giustificare la seconda sconfitta stagionale dei rossoblù si deve guardare altrove. Si può, ad esempio, prendere in prestito un vecchio slogan pubblicitario legato al Totip: se non giochi, non vinci. E ieri, al Grande Torino, il Grifone semplicemente non ha giocato, scendendo in campo fin dal primo minuto con un atteggiamento assolutamente rinunciatario e attendista.


    COME UN GAMBERO - Dopo l'ottimo passo avanti fatto domenica scorsa contro la Lazio, la truppa di Gilardino ne ha rifatto uno indietro, tornando ad essere quella squadra abulica e priva di idee già vista contro la Fiorentina. Da un Olimpico all'altro il Genoa ha smarrito se stesso e tutte quelle certezze accumulate nel vittorioso raid in terra capitolina. A Torino i rossoblù sono scesi in campo con un solo obiettivo: distruggere senza costruire, attendendo con ansia il suono del triplice fischio. La dimostrazione arriva dai numeri di una gara che ha visto il pallino del gioco sempre nelle mani di ragazzi di Juric. Tanto che Milinkovic Savic la palla l'ha toccata appena una volta per tempo. Nel primo raccogliendo un passaggio da venti metri di Retegui; nel secondo (in pieno recupero, trenta secondi prima del gol di Radonjic) murando una sassata di Kutlu. Per il resto il portiere del Toro non ha neppure dovuto battere le rimesse del fondo, visto che a tirare non nello specchio ma neppure verso di esso il Genoa non è stato di grado di riuscirci per il resto dell'incontro.


    MURO PERENNE - Non che i padroni di casa abbiamo fatto molto di più, opinerà qualcuno. Vero. Però quando di fronte hai una squadra che si difende in dieci e raramente si spinge oltre la trequarti campo avversaria tutto diventa estremamente più difficile. Come del resto sa molto bene lo stesso Genoa, che questo atteggiamento lo ha spesso subito dagli avversari nella passata stagione. Più che rammaricarsi per l'eurogol del 10 granata, gentilmente agevolato da un Hefti improponibile e da Kutlu che non ha neppure provato ad andare in aiuto al compagno in chiusura, l'ambiente rossoblù dovrebbe interrogarsi su cosa è stato fatto per evitarlo. A parte contare sulla velocità delle lancette del cronometro, la risposta è poco se non nulla. La vittoria del Torino non è figlia della sorte, buona o malvagia a seconda di chi la interpella. La vittoria del Torino è figlia prima di tutto della voglia di giocare a pallone mostrata dai granata. Ciò che il Genoa, semplicemente, non ha avuto.

    DOMANI - L'unica notizia buona della giornata per Gilardino è data dalla possibilità di sfruttare la prima sosta della stagione per provare a dare al Grifone un'immagine diversa da quella vista ieri. Due settimane di lavoro, seppur a ranghi ridotti viste le diverse assenze dei nazionali, che giungono a pennello. Il fatto poi che alla ripresa il primo avversario si chiami Napoli non deve essere un alibi, quanto piuttosto uno stimolo. Molto peggio sarebbe affrontare una concorrente diretta, sapendo che dopo due passi falsi non puoi più permetterne altri. Contro i campioni d'Italia i rossoblù partiranno invece con la consapevolezza che qualsiasi risultato diverso da una sconfitta sarà grasso che cola. Quel che si chiede loro non può essere la vittoria, visto che anche un pari sarebbe considerato troppa grazia. Ciò che servirà contro Osihmen e compagni è il segno che si è capito che nella sconfitta di ieri la sfortuna non c'entra proprio nulla. E che il raid nell'Olimpico biancoceleste non è stato un fulmine isolato nell'azzurro cielo di fine agosto.

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