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    Genoamania: la fine dell'ultimo sogno romantico

    Genoamania: la fine dell'ultimo sogno romantico

    • Marco Tripodi
    La favola di Pietro Pellegri finisce qui.

    Il romanzo del calciatore che per tutta la carriera sceglie di sposare un'unica maglia si scopre in realtà essere una filastrocca di poche righe. Peccato, perché le premesse e le suggestioni affinché quella del Golden Boy di Pegli potesse essere una storia davvero unica c'erano tutte: i record di precocità, una vita legata a doppio filo alla squadra del suo cuore, l'ingresso nel palcoscenico del grande calcio che avviene in contemporanea con l'uscita di scena della penultima (resta ancora soltanto Daniele De Rossi) bandiera dello smarrito calcio nostrano. Tutti elementi perfetti per una sceneggiatura dal finale apparentemente già scritto.

    Ed invece, alla fine, l'eterno dilemma tra l'uovo oggi e la gallina domani si è risolto ancora una volta a favore della prima opzione. Tra l'opportunità, affascinante ma rischiosa, di crescere in casa un talento dal futuro importante facendolo diventare un simbolo destinato all'eterna memoria oppure quella di realizzare una sicura plusvalenza che non ha precedenti con un adolescente, il mondo del pallone ha scelto come sempre più spesso avviene la via più pragmatica. Del resto tirare su 30 milioni netti dalla vendita di un sedicenne non è certo roba da tutti i giorni e visto come sono messe in questo momento le casse societarie del Grifone l'operazione che ha portato Pietro Pellegri al Monaco in fondo ha anche una sua logica.

    Ma l'amaro che l'epilogo di questo romanzo mancato lascia sulla bocca di tanti è davvero forte. Con l'addio di Pellegri al Genoa, e probabilmente anche al calcio italiano, si perde l'ennesima speranza di poter far rivivere un sogno romantico sempre più utopistico in un mondo basato ormai soltanto sulle speculazioni. La partenza dell'ormai ex Golden Boy rossoblù rappresenta la fine di una favola destinata ad essere declinata soltanto al passato, riferendosi agli idoli di un calcio che da un pezzo non esiste più.

    Pellegri aveva tutto per ribaltare lo stereotipo del calciatore contemporaneo, almeno dal punto di vista umano. Era genovese e genoano ed era cresciuto guardando i suoi idoli allenarsi dalla finestra della sua cameretta. In appena nove partite con la maglia del suo cuore è riuscito a scrivere pagine di storia del nostro campionato e forse proprio questo aumenta il rimpianto per averlo perso così presto. Forse Pietro non diventerà un campione come quello che promette di essere. Forse sarà semplicemente un giocatore discreto, come ce ne sono tanti in giro per l'Europa. Oppure davvero tra non troppo tempo sarà il crack che in tanti auspicano. In ogni caso difficilmente diverrà il protagonista di un romanzo speciale ed unico.

    La sua storia rimarrà un'illusione a lungo cullata dal popolo rossoblu ed inconsciamente alimentata da quel primo straordinario gol in Serie A segnato nel giorno dell'ultimo calcio dato ad un pallone da Francesco Totti: il tramonto di un eroe fedele ad un unico amore coincide con la nascita di un nuovo paladino. E invece così non sarà.

    Se Pellegri diventerà un principe del gol lo farà alla corte dei Grimaldi e non tra la sua gente. Così ha voluto lui. O più probabilmente così ha voluto quel mondo nel quale è entrato prepotentemente a far parte poco più di un anno fa. Un mondo che per non soccombere non può più permettersi il rischio di aspettare che il pulcino schiuda l'uovo e diventi gallina. Anche a costo di prendere a sassate i sogni della gente che quello stesso mondo continua a tenerlo in vita.

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