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    Genoa: l'incredibile favola di Kallon, profugo a 14 anni prossimo al debutto in A

    Genoa: l'incredibile favola di Kallon, profugo a 14 anni prossimo al debutto in A

    • Marco Tripodi
    Il paradiso per Yayah Kallon non è un'entità eterea fatta di luce e popolata di angeli. Il paradiso, per questo giovane calciatore del Genoa, è un prato verde con un pallone che vi rotola sopra e ventidue ragazzi che li corrono appresso. Una meta concreta, ma ugualmente lontana, capace di alimentare le speranze e i sogni di un bambino cresciuto in uno dei paesi più poveri e pericolosi al mondo, dandogli la forza di superare momenti che nessun essere umano dovrebbe mai affrontare. Tanto meno un bambino.  

    E' stata questa la bussola che lo ha guidato nei lunghi mesi trascorsi nel Sahara assieme ad una carovana di disperati alla ricerca di un domani che sembrava il più irraggiungibile dei miraggi. Tra le poche cose che il destino aveva donato a Yayah c'era però la fortuna di uscire vivo dall'oceano di sabbia, dai lager libici che lo aspettavano alla fine della traversata, dalla navigazione in quel inghiottitoio di anime che può essere il Mediterraneo. Sorte negata a molti suoi compagni di viaggio.

    Dopo aver attraversato l'inferno, a soli 14 anni, senza nessun Virgilio al suo fianco ora Kallon (omonimo e connazionale ma non parente del Mohamed attaccante anche del Grifone sul finire del millennio scorso) è giunto davvero alla fine di quel lungo viaggio, iniziato oltre sei anni fa. All'alba del suo 20° compleanno il giovane attaccante della Primavera rossoblù è pronto per mettere piede per la prima volta in un campo di Serie A. Potrebbe farlo sabato a Cagliari, in una gara inutile dal punto di vista sportivo ma dal significato enorme per chi questo giorno lo insegue da sempre. Unico pensiero in grado di scacciare la violenza e gli orrori che hanno popolato la sua adolescenza. Come lui stesso racconta a Genoa Channel: "Al mio paese, in Sierra Leone, c'è un gruppo terroristico che rapisce i bambini per trasformarli in soldati. I miei genitori avevano paura che potesse succedere anche a me così hanno deciso di farmi partire. Avevo solo 14 anni ed ero solo. E' stata dura, io non volevo staccarmi da loro. Ma era la cosa migliore da fare".
     
    Se il distacco dalla famiglia è stato difficile, ciò che ha vissuto nei mesi successivi è stato però molto più drammatico. Un pellegrinaggio di otto mesi verso una terra promessa chiamata Europa: "Il viaggio è stato lungo e difficile - ricorda Yayah - all'inizio ero da solo poi lungo il percorso ho incontrato ragazzi di tanti paesi, dalla Costa d'Avorio al Senegal al Mali ed anche se non parlavamo la stessa lingua abbiamo fatto gruppo. Il momento peggiore è stato sicuramente il periodo in Libia. Lì non c'erano regole e incontravi ragazzini che giravano armati. Per pagarmi la traversata via mare ho lavorato, dalla pulizia nelle case al muratore, e quando sono riuscito a raccogliere i mille dinari che servivano mi hanno rapinato, così ho dovuto ricominciare da capo".

    Al secondo tentativo le cose andarono meglio, anche se i rischi non erano ancora finiti: "La traversata con il barcone è durata otto ore. Ma sono stato fortunato. Quando siamo arrivati a Lampedusa eravamo tutti contenti anche se avevamo molto freddo. Lì ci hanno dato tutto, anche le coperte. E ho potuto avere una ricarica per poter telefonare a casa e risentire, finalmente, dopo molti mesi i miei genitori".

    A dargli un futuro ci ha poi pensato il pallone, l'amico del cuore fin dai tempi dell'infanzia che lo ha portato fino in Liguria: "Il calcio mi è sempre piaciuto. Da bambino giocavamo a tre o a cinque sotto il sole ma anche sotto la pioggia. Mi sono approcciato al calcio grazie ad un amico. Sono andato prima all'Entella, dove sono stato cinque giorni, e quindi al Genoa dove in una partitella avevo fatto due gol già nel primo tempo e quindi mi hanno preso".

    In rossoblù Kallon trova molto di più di una squadra disposta a dargli un'opportunità. Trova persone umane, che lo accolgono e lo crescono come se fosse un loro familiare: "Ho un rapporto unico con mister Chiappino (l'allenatore della Primavera del Genoa, ndr) che per me è come uno zio. Da quando sono arrivato mi ha aiutato tanto, sia in campo che fuori e lui sa cosa ha fatto per me. Anche quando l'anno scorso mi sono infortunato e lui mi è stato vicino ogni giorno, per tutti gli otto mesi di fisioterapia".

    Eccolo il suo Virgilio che lo ha condotto a veder le stelle. O se preferite l'angelo custode che gli ha spalancato le porte di un Paradiso mai così meritato.

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