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Gasperini sul coronavirus: 'In Lombardia siamo organizzati, cosa succederebbe a Roma o a Napoli?'
"Oggi non sappiamo cosa cazzo fare, vorremmo allenarci un po’. Non chiediamo tanto. I ragazzi sono disorientati. Ci dicono di stare in casa, di non uscire, non è semplice, ci adegueremo perché queste sono le direttive del governo. Il momento… Come tutti, non abbiamo un’idea del futuro. Solo incertezze. Sulla serie A, sulle coppe. Si andrà avanti? Giocheremo ancora? Sappiamo solo che abbiamo superato il turno e che siamo messi bene in campionato. Tra un po’ chiuderanno tutto, le imprese. Viviamo sospesi. Il centro di Zingonia è chiuso, siamo venti più lo staff, vorremmo fare due corse, una partitella. Naturalmente seguendo le indicazioni dei medici e rispettando il protocollo".
"Troviamoci, insistono i ragazzi. Ma troviamoci dove, se non è consentito? Nelle strade ci sono i posti di blocco, la percezione del dramma adesso è completa. La peste, è come la peste. La nostra vita è cambiata, la vita di tutti è cambiata. Un mondo rovesciato. Ho visto che hanno spostato le partite di Europa League, tra un po’ toccherà anche alla Champions, immagino. L’Italia è avanti di venti giorni rispetto ad altri Paesi, dubito che qualcuno possa azzardare delle previsioni sulla fine di questo incubo. Per quel che ci riguarda, nel giro di poche ore siamo passati dalla gioia per aver realizzato una grande impresa alla consapevolezza di vivere qualcosa di inimmaginabile".
"Sento soltanto le sirene delle ambulanze. State a casa, state in famiglia, non uscite. E da queste parti, in Lombardia, siamo sufficientemente organizzati, pur se in difficoltà. Mi chiedo cosa potrebbe accadere a Roma, a Napoli... Ci adatteremo, è la specialità di noi italiani. La vita prevale sullo sconforto. Siamo dentro un altro mondo, peggiorato di brutto".
"Mi hanno disturbato le solite banalità sul mondo del calcio, i privilegiati, i grossi guadagni, gli interessi da proteggere. Mi ha dato molto fastidio. Le parole del politico di turno che fa della demagogia l’unica forma di comunicazione. Avevo gradito quel passaggio del primo decreto che consentiva al calcio professionistico di proseguire a porte chiuse, perché la funzione sociale del calcio soprattutto in situazioni di emergenza è chiara. Quando siamo rientrati a Bergamo non c’erano tifosi ad attenderci, giustamente. Ma da stamattina abbiamo ricevuto centinaia di attestati, messaggi di persone che per novanta minuti non hanno pensato che al pallone. Il calcio come antidepressivo, come forma di sopravvivenza, è così che lo considero. Le abitudini sono importanti, e non solo per noi italiani la visione di una partita, una parentesi di leggerezza, può risultare addirittura terapeutica. Hanno voluto dare un segnale forte, bah. Bisognava andare avanti con le porte chiuse, io la penso così".