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Gabrielli, mental coach: 'Conosco il problema di Balotelli e so come aiutarlo'
Alle conferenze, le domande che le fanno più di frequente sono come si diventa e cosa fa un mental coach? Come è diventato mental coach? Ce lo rivela? “E’ presto detto. Ho sempre desiderato studiare la mente, capirne il funzionamento e ideare soluzioni per svilupparla. All'università però sbagliai clamorosamente facoltà, invece che psicologia mi iscrissi a farmacia, forse avevo solo letto le ultime due lettere..“ia”. Essere farmacista mi ha permesso di fare una grande esperienza nell’ambito farmaceutico e approfondire tematiche relative al cervello. Poi, quando l'azienda in cui lavoravo mi mandò in Inghilterra come responsabile formazione e marketing Europa, ebbi finalmente modo di approfondire, in una università inglese, i temi della psicologia e delle scienze comportamentali.
Da lì fondai la mia società di comunicazione, formazione e marketing emozionale ed eccomi qua”.
Di cosa si occupa tuttora?
“Da 15 anni seguo la filosofia orientale buddista e ciò mi aiuta molto nel mio lavoro, consentendomi di stare focalizzato nel presente, di essere sereno e trasmettere serenità, e di avere sviluppato un orientamento reale all'ascolto; la mia dote principale è il non prendermi mai troppo sul serio, sono ironico con me stesso e ciò mi permette di rimanere sempre con i piedi per terra”.
Quando e come è scattata l’idea di fare il mental coach per un club calcistico, esattamente il Bologna FC 1909?
“Entrare nel mondo del calcio per chi fa la mia attività rappresenta l'esame finale di laurea; il calcio è un mondo chiuso alle esperienze esterne, ha dinamiche complesse derivate dal fatto che esiste una pressione costante sui risultati, le squadre quindi sono oggetto continuo di analisi da parte della stampa, dei tifosi e, dove esistano degli azionisti, il numero di giocatori per squadra è elevato, le partite sono molte, il rischio di perdere la concentrazione e il focus è sempre presente. Una buona solidità mentale non solo degli atleti, ma anche degli staff tecnici è di supporto e un elemento di efficacia da non sottovalutare. Adesso il ruolo di mental coach è visto come intervento di emergenza quando le cose non vanno, l'ultima possibilità di intervento o come soluzione punitiva, invece di essere considerato un elemento per aumentare l'efficacia verso il risultato durante tutto un campionato. Le società hanno tutte preparatori atletici, ma la figura del preparatore mentale non è quasi mai prevista. La breve esperienza fatta presso il Bologna FC è stata per me fondamentale per capire le dinamiche e le reali esigenze mentali dei giocatori e sugli staff. Il mio prossimo obiettivo, a cui sto già lavorando, è seguire una squadra di serie A dalla preparazione estiva alla fine del campionato, per poter progettare, pianificare e realizzare un intervento sistematico”.
Alla luce della bassissima quota salvezza e della pochezza in termini di gioco e risultati delle squadre che nuotavano nei bassifondi, quest’anno era senza dubbio più facile salvarsi che retrocedere. Lei è arrivato a tre turni dal termine del campionato … troppo tardi? La situazione era già compromessa?
“Gli interventi di mental coaching devono essere pianificati nel medio termine nel lavoro con le squadre, mentre gli interventi sui singoli possono essere relativi anche ad interventi nel breve periodo, il mio sistema di “instantaneous coaching 3.0 lavora proprio sul breve termine. Il mio intervento è stato veramente minimo, anche se però, umanamente, ho trovato una bella realtà”.
Instantaneous coaching 3.0 … nel breve termine … di cosa si tratta in parole semplici?
“Questa tipologia di coaching è utile per attivare cambiamenti comportamentali in breve tempo, deriva dal laser coaching, una forma di coaching molto specifico, efficace e pratico. Si tratta, in breve, di scomporre un comportamento nelle singole e specifiche azioni che lo compongono e lavorare successivamente alla modifica di queste in maniera diversificata, attraverso sessioni brevi e intense”.
Il successo da cosa dipende? E se si dovesse sbagliare?
“Il successo dipende dal riuscire a fare una diagnosi corretta relativa al comportamento da modificare, questo è possibile attraverso la valutazione dei segni e dei sintomi che sono alla base del comportamento da modificare, se si sbaglia diagnosi infatti, si sbaglia approccio e si sbaglia anche il lavoro e non si ottiene nulla”.
“Quello che pensi, lo crei. Quello che provi, lo attrai verso di te. Quello che immagini, lo diventi”. Questo pensiero di Basheer “cattura” aprendo il tuo sito internet. Come si fa a mettere in atto questi concetti astratti nel mondo calcistico?
“Non sono concetti astratti, noi mental coach lavoriamo su modelli non teorici ma estremamente pratici, non diamo insegnamenti ma proponiamo modelli comportamentali ad alta efficacia, agiamo essenzialmente sulla concentrazione, sulla focalizzazione sul presente, e non sulle cose passate e sul futuro, sulla definizione degli obiettivi e fondamenti sulle credenze personali, noi siamo ciò che crediamo di essere e facciamo ciò che crediamo di poter fare, tutto qua. Ottenere risultati è molto più facile di quanto normalmente si pensi”.
Chi sono i suoi principali clienti nel mondo calcistico? E perché, a suo avviso, un atleta decide di rivolgersi ad un mental coach?
“Naturalmente sono vincolato da un codice etico che non mi permette di diffondere informazioni sui miei clienti se non dopo specifica autorizzazione, posso dirti che sto seguendo alcuni calciatori "individualmente", in particolare un portiere, tre difensori e due attaccanti, tutti professionisti.
Il lavoro che faccio con questi atleti in parte è lo stesso, in più, a seconda della loro specializzazione, facciamo anche un lavoro differenziato con differenti obiettivi, alleniamo tra le altre cose, la motivazione, l'aggressività e l'attenzione. Un atleta decide di rivolgersi ad un mental coach, non come erroneamente si crede per essere motivato, ma principalmente quando riscontra difficoltà verso il raggiungimento degli obiettivi prestazionali fissati, o per il recupero anche mentale a seguito di un infortunio o quando sente la necessità di sistemare l'approccio mentale alla gara, spesso a seguito di risultati negativi. Gli obiettivi su cui si lavora possono essere diversificati iN brevi: singola gara, medio termine: un torneo, una serie di gara legate tra loro,
lungo termine: una intera stagione od un evento importante, Olimpiade, Mondiali, ecc.
Cosa risponde ad un calciatore che le chiede “Come posso diventare ancora più bravo” o “come posso avere più sicurezza nei miei mezzi”?
“Ad un calciatore che mi chiede “come posso diventare più bravo”, domanderei:
Cosa vuole dire per te essere bravo?
come sai di essere bravo?
in cosa specificatamente sei bravo?
quali sono i tuoi punti forti che ti fanno essere così? qual è il tuo obiettivo nel diventare più bravo?
vuoi essere più bravo o maggiormente efficace?
per essere bravo come te cosa dovrei fare, cosa dovrei pensare ecc.?
Invece, a chi mi chiedesse “come posso avere più sicurezza”, chiederei:
Cosa significa essere più sicuro per te?
più sicuro rispetto a cosa?
quali sono i tuoi mezzi-abilità di cui sei sicuro?
quali invece quelli su cui vorresti avere più sicurezza?
quali sono quelli che attualmente ti fanno ottenere risultati?
quali vantaggi vedi nell'avere più sicurezza?
Sicurezza, entusiasmo e successo come si raggiungono? “Si raggiungono con il lavoro, la concentrazione, l’autodisciplina e tanto allenamento, alla base di tutto gli elementi attivanti sono passione, entusiasmo e autoefficacia”.
Tra i suoi assistiti vorrebbe avere Balotelli. Ci sveli il perché..
“Mario è il prototipo del grande atleta: talento, preparazione atletica e tecnica. Se la sua tattica e il suo atteggiamento mentale fossero in linea con i primi tre sarebbe tra i primi cinque calciatori a livello mondiale, in quanto attiverebbe quel circolo virtuoso che lo metterebbe in grado di poter replicare costantemente i suoi risultati che spesso sono episodici. Attorno a lui girano troppo persone, non sempre competenti, tutti dicono la loro, io sono sicuro di conoscere il suo problema di fondo e saprei come essergli di aiuto nel breve periodo ed in maniera semplice ma efficace. Quale sia il suo problema e quale la soluzione, se permetti, li tengo per me”.
Un calciatore che decide di lavorare autonomamente sull’aspetto motivazionale, dell’immagine, della comunicazione, sulla gestione dello stress e dell’autostima lo definirebbe sicuro di sé, furbo, o … ?
“Sicuramente è una libera scelta, ma oramai il livello di specializzazione su questi aspetti è tale che affidarsi a professionisti dei settori specifici rappresenta una scelta vincente, vorrei sottolineare la parola professionisti, spesso attorno ai calciatori girano personaggi allegorici ma improvvisati.
Ma in fondo è sempre tutto legato agli obiettivi personali dell'atleta.
Ogni anno attraverso i suoi seminati incontra circa 2000 persone dalle più svariate personalità. Non ha paura di impazzire?
”Forse sono anche di più, non ho paura di impazzire, lo sono già”.
Ha mai detto di no ad un cliente che ti si è proposto oppure si è concluso nel breve un rapporto con un assistito mancando il giusto feeling?
“Certo che può capitare, nei percorsi di allenamento mentale, la collaborazione deve sempre essere una scelta non un obbligo, per questo prima di accettare un cliente, ho sempre un lungo colloquio preliminare con l'atleta con l'obiettivo di capire il suo obiettivo nel lavorare con me, capire se sono in grado di essere d'aiuto e illustrare il mio metodo di lavoro, specificandone tempi e metodologia. Nel mio lavoro non sono tenero, ne accomodante quindi è importante che tutto sia chiaro, se tutto è coerente si può iniziare la collaborazione. Quando è capitato di interrompere una collaborazione, è accaduto perchè l'atleta non aveva fiducia nei miei metodi e nella preparazione psicologica in generale quindi non si impegnava nel percorso progettato, due volte mi è accaduto di avere interrotto la collaborazione per una vera mancanza di feeling tra me e l'atleta”.
Quali sono le maggiori differenze nell’avere come assistito un allenatore o un calciatore?
“Le differenze principali sono negli obiettivi da raggiungere e nel metodo di collaborazione, normalmente con gli allenatori lavoro molto sul linguaggio di attivazione e sulla lettura oggettiva dei comportamenti degli atleti, "osservazione e non giudizio", una cosa facile da scrivere difficile da realizzare. Inoltre è anche una questione di tempi, con un atleta il percorso è breve, con un allenatore il percorso è orientato nel lungo termine in quanto è un’azione di supporto alle sue attività, come l'allenatore si avvale di un preparatore atletico così si può avvalere di un preparatore mentale. Occorre precisare a questo proposito che quando lavoro in una squadra le mie attività sono sempre decise in accordo con l'allenatore e mai in maniera autonoma, in particolare nella definizione degli obiettivi da conseguire con il mio lavoro mentre i metodi del mio lavoro poi li decido io in maniera autonoma.
Comunicazione emozionale, parole che affascinano solamente a leggerle, di che cosa si tratta Giovanni?
“La comunicazione emozionale è la comunicazione che si rivolge all'inconscio, quella parte di noi responsabile di tutti i nostri processi di attivazione, quella parte che presidia ogni nostra decisione di cambiamento e di acquisto, la comunicazione emozionale è una comunicazione che crea immagini mentali nell'interlocutore, attraverso immagini visive, auditive e di attivazione delle sensazioni, è una comunicazione che rallenta il tempo che ci rilassa e attiva nello stesso momento, è la comunicazione con cui le nostre mamme ci facevano addormentare ... con una ritualità costante … che si sviluppava così:c'era una volta E vissero tutti felici e contenti per sempre. Questo in sintesi è la chiave della comunicazione emozionale, che io definisco la “sola” comunicazione del cambiamento”.
Dulcis in fundo, manca poco all’inizio dei Mondiali. Che consigli si sente di dare agli Azzurri di Prandelli per arrivare il più lontano possibile in Brasile?
“Prandelli non ha certo bisogno dei mie consigli, ne voglio darne, una nazionale come squadra ha dinamiche psicologiche completamente differenti da quelle di una squadra di club. L’obiettivo è un obiettivo sempre nel medio lungo termine, il gruppo può cambiare composizione ad ogni raduno ed anche le dinamiche interne, ognuno ha metodologie di lavoro specifiche in relazione al club di appartenenza, quindi in questo periodo la cosa più importante psicologicamente è un lavoro sulla costruzione di un reale senso di appartenenza al gruppo. In questo, il lungo periodo in cui i giocatori vivranno assieme è un elemento facilitante, le pressioni saranno notevoli, quindi anche la stabilità emozionale dei singoli sarà importante, unico consiglio a Prandelli, tornare con la Coppa....”