Fiorentina:| Eutanasia di un amore
Gli eccessi d'amore a volte possono causare ferite. Queste si chiamano delusioni. Fanno male, ma fanno parte del gioco. L'eccesso di ragione invece può causare un male più sottile, quando viene applicato su una terra su cui dovrebbero crescere emozioni. Questa malattia si chiama disaffezione. Quella che due amanti stanchi potrebbero chiamare indifferenza. Cioè il sentimento peggiore che c'è: per chi non è più amato e per chi non riesce ad amare più. Il calcio dei giorni nostri vive in bilico tra ragione e sentimento. Sembra una frase fatta, ma invece è l'immagine più vicina al senso del tutto. E non è difficile capire perché.
Fino a una quindicina di anni fa chi seguiva una squadra di calcio viveva la sua passione allo stadio la domenica e sui giornali durante la settimana. Ma, nella sostanza, contava il campo, il resto erano discorsi intorno a quello. Al tifoso importava il giusto dei bilanci, delle relazioni politiche, delle plusvalenze. Nessuno avrebbe mai fatto due conti per dire che tra soldi e giocatori alla fine la cessione Baggio poteva anche essere un affare (e comunque non lo era). La bandiera viola come casa di tutti, e chi tradiva, società o giocatori, non meritava più niente. Ci si poteva dividere come sempre su un allenatore o un giocatore, si poteva discutere il reale impegno di un presidente, ma alla fine il cuore era sempre lì, a battere per quei novanta minuti di passione.
Tornando all'eccesso di amore possiamo dire che uno, pur conoscendo i rischi, non ci rinuncerebbe comunque mai e che, tra lacrime e feste, qualcosa di bello lo abbiamo vissuto anche noi. Anche se nel frattempo il calcio è cambiato, le tv ne hanno rivoluzionato i tratti, i potenti hanno organizzato l'affare attraverso i classici cartelli di interesse e noi, dopo aver provato a fare la rivoluzione forti di una orgogliosa diversità, nel giro di un anno ci siamo adeguati al cambio di passo secondo lo slogan: o si fa la Cittadella o niente sogni di gloria. Quindi, alla fine, prepariamoci a giorni di sogni normalizzati.
Tutto giusto, razionale e sensato, tanto più che i Della Valle sono imprenditori di successo, persone di cui fidarsi. E così nel dibattito quotidiano sul web o via etere, abbiamo passato più di un anno a discutere di scudetti virtuali, di progetti immobiliari, di attivi di bilancio, di cessioni intelligenti. Il ritmo frenetico dell'informazione ha portato tutti dentro un labirinto infinito di giudizi e dettagli. E poi il diktat: o col padrone o contro il padrone. E chi osa non accettare la versione fornita dalla casa madre e dai suoi molteplici satelliti mediatici è un rosicone, o mamma Ebe o comunque un nemico della causa.
Nessuna distinzione tra la critica cialtrona e quella che vorrebbe essere costruttiva (o almeno provarci), minacce più o meno velate e infinite lotte tra fazioni, acuite dalla vicenda Prandelli, una storia gestita in modo superficiale, una fine a cui sul campo, per ora, non è seguito nessun nuovo inizio. E questo è il problema: il gioco (e il cuore) della Fiorentina. Il vero nodo è lì. E quello va risolto. Perché l'anestesia parziale praticata in modo scientifico sul corpo di una città che aveva ancora sulla pelle i segni di un fallimento (e per questo impaurita), da una parte ha evitato che i malesseri deviassero verso reazioni sbagliate, dall'altro però ha allontanato la gente dal 'Franchi' e, soprattutto, da quelle emozioni ormai troppo rare per essere degne di fede.
Insomma, uno può anche accettare la logica del confronto costi/ricavi, l'idea che Firenze non offre altre risorse e così via. Ok. E poi? Poi sull'altro fronte servono entusiasmo, gioco e orgoglio. Solo così è possibile creare l'equilibrio tra passione e cervello. Perché il calcio è lo show più pop che c'è. Ma se questo è mediocre, il futuro pieno di paletti, lo stadio fuori dai tempi e la squadra reclusa nel suo mondo dorato, alla fine cosa resta? Beh, ci sta che questo accenno di diagnosi sia un po' crudo. Ma per fortuna sappiamo bene che basteranno poche scelte giuste per rimettere in moto la passione di una città da sempre malata di Fiorentina. Una città che attende fiduciosa, più o meno come sempre.
(La Repubblica - Edizione Firenze)