ESCLUSIVA Quando Gianni Di Marzio consigliò Ronaldo alla Juve e Messi al Napoli. Nuovi talenti: 'Mi piace Rugani'
Interessante il caso del Pallone d’Oro 2013.
“Nel 2002 lavoravo per la Juventus. Andai a Lisbona ad assistere a Sporting-Belenenses. L’obiettivo del mio viaggio era Quaresma, che giocò pochissimo. Ma ci poco ad accorgermi di quel ragazzino, Cristiano Ronaldo, che era soltanto alla sua terza partita. Aveva già allora un fisico straripante e una tecnica sopraffina. Giocava largo e sinistra e convergeva al centro per tirare di destro. Faceva un gran movimento, saltava l’uomo con una facilità irrisoria, vedeva bene il gioco, era rapido nei cambi di fronte e sapeva sacrificarsi nella fase di non possesso. Parlai con la madre e col suo procuratore, il non ancora famoso Jorge Mendes. Il ragazzo venne a Torino e superò le visite mediche, ma l’affare saltò perché Salas, che la Juve voleva inserire come contropartita tecnica, rifiutò il trasferimento il Portogallo e volle tornare in Sudamerica".
E con Messi come andò?
“Lo vidi in Colombia, in un torneo per nazionali giovanili. Pensi che il suo allenatore, José Pekerman, lo teneva in panchina per far giocare Barrientos, che poi sarebbe andato al Catania. Soltanto Maradona mi aveva impressionato così: lo avevo visto nel ’78, quando allenavo il Napoli, e lo segnalai immediatamente a Ferlaino, che non poté comprarlo per il blocco delle frontiere. Sarebbe costato solo 220mila dollari. Quando lo prese dal Barcellona, sborsò 13 miliardi di lire…”.
Nella tua relazione caldeggiavi l’acquisto del giovanissimo Messi descrivendolo come un assoluto fenomeno: perché la Juve non lo volle comprare? “Ne parlai anche con alcuni colleghi italiani, come Gerolin e Varnier: scrissi loro in una carta intestata dell’albergo che Messi sarebbe diventato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, ma non mi diedero ascolto. La Juve non lo prese perché non è che si possano comprare tutti, ma almeno grazie a me ha preso Ibrahimovic, che Koeman all’Ajax faceva giocare poco. Vedevo in lui una punta centrale di grande movimento e dai piedi brasiliani. All’inizio alla Juve tentennavano, ritenendolo un doppione di Trezeguet, a cui invece si rivelò complementare per la capacità di agire anche sugli esterni”.
Ma come si fa a capire se un ragazzino diventerà un campione?
“Ci vuole una sorte di occhio clinico. Bisogna leggerne i movimenti con e senza la palla, osservarlo dal punto di vista fisico e atletico, capire se riesce a fare le cose più difficili con una certa facilità, se sa inserirsi al momento giusto rispetto al portatore di palla, se sa fare quello che nessuno si aspetta, se ha un repertorio completo e piedi sensibili. E, nel caso dei sudamericani, un bravo osservatore prevede la loro adattabilità al campionato europeo. Se vai a Copacabana ne trovi quanti ne vuoi, ma al massimo potrebbero fare il globetrotters. Di brillantini ce ne sono a bizzeffe; io cerco le perle. Ma il pescatore sa in quali acque buttare la rete".
Secondo una celebre e citatissima canzone di De Gregori, il calciatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. È d’accordo?
“Sono qualità necessarie, ma non bastano. Quando un giocatore mi incuriosisce voglio conoscerlo, capire che persona è, se ho davanti uno di quei deficienti dalle grandi potenzialità e senza il minimo senso del sacrificio e dell’umiltà. Guardo anche eventuali carenze dentarie, che potrebbero bloccarne la crescita”.
Cosa serve a un ragazzo di talento per emergere?
“Deve compiere il percorso giusto. Forse Cavenaghi sarebbe esploso se non si fosse fermato al campionato russo, dove pure ha segnato tanto. Meglio se non si hanno genitori soffocanti, che intravedono nel figlio la possibilità di arricchirsi. E poi ci vuole un allenatore che sia prima di tutto un buon allevatore, che dia i suggerimenti giusti e insegni ad attivare la psicocibernetica, ossia la memorizzazione della propria psiche, in modo da metterla immediatamente in pratica quando venga richiamata durante una partita, davanti a decine di migliaia di persone. Ma, ripeto, la serietà è importante. Pensi a Keita, il giocatore della Roma che ha avuto l’incidente in auto. Secondo lei a Barcellona sono talmente stupidi da averlo lasciato libero senza averci pensato bene?”.
Ma oltre a un buon genitore e a un buon allenatore, nel calcio di oggi non serve anche un buon procuratore?
“Per me i migliori sono gli ex calciatori, che hanno l’esperienza giusta per dare consigli. Ci sono tanti procuratori che non si intendono molto di calcio. Il più delle volte sono laureati in legge che non hanno sfondato nelle loro attività e si sono inventati procuratori perché hanno capito che nel calcio i soldi girano. Al massimo incideranno sul conto in banca dei giocatori”.
Dia qualche dritta anche a noi. Ci consigli dei giovani su cui puntare.
“Onestamente non vedo un crack, ma ci sono degli ottimi elementi nell’under 21 di Gigi Di Biagio, che secondo me sta facendo davvero un ottimo lavoro. Mi piace molto Rugani, il difensore centrale dell’Empoli. Deve completare la parte muscolare, ma per il resto è già a posto: ha autorità, ha tecnica, sa stare in campo, è bravo nelle chiusure e nel gioco aereo, sa calcolare le distanze rispetto al portatore di palla avversario, esce bene dall’area col pallone tra i piedi e nei momenti di massima tensione riesce a mantenere la calma”.
E all’estero?
“A giugno, al torneo di Tolone, ho visto un ottimo centravanti brasiliano, un esterno francese e un paio di messicani che hanno i numeri per sfondare, ma non mi va di fare nomi per non favorire gente che se ne sta seduta dietro a una scrivania. Vadano in giro, scoprano i talenti e siano bravi a prenderli prima che sia troppo tardi”.