Emre Can, parla il primo allenatore: 'Cresciuto nel mito di Del Piero. Juve? Non era pronto, ora vuole la Champions'
NEL SEGNO DI DEL PIERO - “Gliel’ho ripetuto tante di quelle volte… Diciamo che gli ho fatto una testa così con la Juve: è stato allevato nel mito bianconero, con Del Piero come riferimento. Gli dicevo: ‘Guardalo, devi calciare come lui’. A casa mia ha sempre visto un santuario dedicato alla Signora: per quelli come me la Juve rappresenta il sentimento italiano, il legame con le origini. Mi piace pensare che, quasi inconsciamente, gli ho trasmesso questa attrazione”.
PRIMI CALCI - “Ero allenatore in seconda di una squadra della zona chiamata SV Blau-Gelb. Il mio superiore non voleva prendere Emre perché era un anno più piccolo e non passava mai la palla…Dopo il secondo allenamento diedero la responsabilità a me e dissi subito: ‘Questo rimane qua, diventa un fenomeno’. In certe partite lo facevo giocare in difesa, perfino portiere, così poteva capire il gioco da dietro. Col tempo è diventato più altruista, anche perché altrimenti finiva in panchina. Ma l’amicizia è nata fuori dal campo: supera il calcio. Io sono un immigrato come suo padre e sua madre dalla Turchia: so bene cosa significhi crescere in un altro Paese, essere guardato con occhio diverso, doversi meritare con la fatica e il lavoro l’apprezzamento della nazione che ti ha accolto. I suoi genitori sono umili e onesti, lavoravano fino a tarda sera. Io riaccompagnavo Emre a casa e avrei dovuto lasciarlo da solo, fuori dalla porta. Non me la sentivo, per questo lo portavo in giro e nei weekend dormiva spesso a casa mia”.
PROMESSA MANTENUTA - “Ha sempre saputo che, se fosse andato alla Juve, sarei stato l’uomo più felice della Terra, ma gli ho ripetuto che doveva fare la scelta migliore per la carriera, quindi non andare mai all’Inter… Scherzi a parte, l’anno scorso gli ho detto che non era pronto per la Juve, adesso lo è al 110%: sarà devastante. Intanto, inizio a dargli lezioni di italiano: imparerà in fretta perché ha una grande memoria, oltre a un grande cuore. Volete sapere perché? Una volta, mentre lo riaccompagnavo a casa da bambino, sfrecciò davanti a noi una cabriolet e gli dissi: ‘Guarda che bella quell’auto’. E lui: ‘Un giorno, quando potrò permettermela, te la regalerò’. Era solo una chiacchierata, la dimenticai presto. Ma, 18 anni dopo, Emre si presenta sotto casa mia con un mazzo di chiavi e mi dice: ‘Promessa mantenuta’. Mi aveva appena regalato una cabriolet. Sa che non ho bisogno, che voglio il suo affetto e non i soldi, ma era il suo modo di dirmi grazie. Però un altro regalo mi farebbe comodo… La Champions! Me la porti presto perché non ne posso più di aspettare…”.