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  • 'Edoardo. L'intruso tra gli Agnelli': il ritratto e 15 anni di amicizia raccontati dal nostro Marco Bernardini

    'Edoardo. L'intruso tra gli Agnelli': il ritratto e 15 anni di amicizia raccontati dal nostro Marco Bernardini

    Il figlio di uno tra i più potenti uomini che hanno contribuito a fare dell’Italia una nazione competitiva. Edoardo Agnelli era l’erede designato per nascita: ma il suo mondo era lontano mille miglia dal sistema disegnato dal padre e dalla sua famiglia. Edoardo è sognatore, ingenuo, utopista. Sogna una fabbrica illuminata e un potere basato sulla solidarietà.
    Così crescono in lui i semi del male di vivere. Fino a soffocarlo; fino a quel salto definitivo nel vuoto, l’atto più autopunitivo e ingiusto che potesse esistere. Se la famiglia Agnelli è considerata da cento anni e più la vera famiglia reale d’Italia, questa è la vera storia, scritta da chi lo ha conosciuto da vicino, di un principe generoso e sfortunato, la cui fine ha commosso molti.

    "Edoardo. L'intruso tra gli Agnelli". Si chiama così l'ultimo libro del nostro Marco Bernardini
    - edito da Aliberti - che ripercorre la figura del figlio dell'Avvocato, scomparso in circostanze tragiche all'età di 46 anni il 15 novembre 2000. Un'opera nella quale vengono ripercorsi innanzitutto i 15 anni di amicizia sincera tra uno degli editorialisti più apprezzati di Calciomercato.com - e prima ancora storica firma di Tuttosport e autore televisivo per Sky e La7 - e il rampollo della famiglia Agnelli. Figura sulla quale Bernardini ha voluto fare chiarezza, cercando di tratteggiarne un ritratto diverso e più completo rispetto a quelli che lo hanno accompagnato negli anni, soprattutto dopo la scomparsa.

    La prefazione di questo libro, uscito proprio oggi in tutte le librerie e sui più noti rivenditori on-line, è affidata al regista Mimmo Calopresti ed è stata pubblicata quest'oggi, in anteprima, da Il Fatto Quotidiano:

    "L’essere stato il figlio dell’avvocato Gianni Agnelli non deve essere stato facile. Deve essere stata una tragedia continua, deve essere stata una continua lotta a contrapporre se stessi a un uomo più grande, più importante di te. Un uomo che ti assomigliava, che sembrava come te nel suo modo di essere e nel suo fare, nel suo esprimersi. Che ti sembrava facile nell’imitare, nell’atteggiarsi a come era lui.
    Ma così non era. Era sempre prima e davanti a te. Era prima di te in qualunque cosa facesse, in qualunque cosa dicesse, in qualunque cosa addirittura pensasse. Sempre primo e tu dietro ad arrancare, a provare ad essergli vicino, se non uguale, ma non c’era niente da fare. Era sempre il primo, il migliore, il solo capace di dire e fare la cosa giusta. Almeno così ti era sembrato per molto tempo, quando eri stato un figlio devoto, quando eri stato un figlio incapace di ogni critica, silenzioso e attento a essere all’altezza della situazione. Silenzioso anche quando ti sembrava che era arrivato il momento di dire la tua, ma ancora, ti accorgevi, non era necessario il tuo punto di vista, il tuo interloquire a tavola con il resto della famiglia o magari in una serata con i tuoi coetanei, di passaggio nella villa lassù in alto, nella Torino che domina il mondo, non solo la città che allora era la città della Fiat.

    La grande fabbrica delle automobili, la Fiat, ti era stata lontana, l’avevi guardata ma mai ti eri avvicinato, ti faceva paura tutto quel muoversi a realizzare, a costruire, a rendere tutto così facile, meccanico così poco creativo. Fare automobili per milioni di persone per essere uomini nuovi, per essere persone che correvano nella modernità, che attraversavano il Paese in tutte le direzioni, che si lasciavano indietro migliaia di chilometri su strade asfaltate da non molto tempo e che ti lasciavano un senso di nuovo e di eccezionale. Ma questo momento di euforia era di tuo padre, della sua capacità di creare rapporti internazionali, di avere sempre a portata di mano i potenti del mondo, di essere insieme a chi contava davvero nel Paese, che era stato un Paese in guerra per molti anni e ora in pace prosperava e cominciava la sua vera rivoluzione industriale. Tuo padre che da piccolo ti abbandonava a casa per andare a vedere vincere la sua Juventus, la sua squadra di football costruita per vincere tutto quello che c’è da vincere. A te non restava che l’ammirazione per la grande fabbrica, per la grande squadra, per la grande storia che stava costruendo l’avvocato Agnelli: tuo padre.

    E poi cominciò un’altra stagione. La stagione dello studio, dei viaggi, della conoscenza del mondo. La conoscenza del reale dopo la fiction che non finiva mai, e che sarebbe potuta durare tutta la vita. I tuoi viaggi alla scoperta dell’universo e alla tua scoperta, i viaggi nei luoghi lontani dalle colline torinesi a raggiungere i luoghi delle rivoluzioni, oppure i viaggi lisergici nati per conoscere se stessi e per condividere con gli altri i mondi senza confini, senza i limiti imposti dal nascere, dall’avere sempre e solo la propria famiglia come riferimento. E poi ancora molto altro: i sogni, i voli pindarici nello studio, il continuo riferimento ai cambiamenti del mondo. Tutto per dire che ci sono anch’io: Edoardo Agnelli. Non solo il figlio dell’Avvocato, ma proprio io, Edoardo, capace ormai di essere l’erede di questo padre grande e importante. Capace di dirigere la Fiat, capace di andare in panchina a guidare la Juventus, capace di smettere di essere un figlio e diventare adulto insieme agli altri adulti, insieme agli avvocati che progettavano come affrontare la crisi del settore automobilistico, come occuparsi della nuova Juventus, come occuparsi dell’Italia che cambiava. Come riuscire a essere un grande uomo tra i grandi e soprattutto essere pronto a sostituire il padre nel suo ruolo di chi doveva dirigere.

    Tutto sembrava naturale a quel giovane uomo: diventare l’erede e specificare a se stesso e agli altri che era arrivato il suo tempo. Ma così non successe mai, non divenne mai quel che doveva essere, mai sembrava arrivare il tempo del suo ingresso nel mondo degli adulti di chi doveva cominciare ad avere responsabilità importanti, di chi doveva essere il nuovo capo e il nuovo leader di un mondo che gli sembrava ormai suo. Allora un giorno decise di fare un volo importante: partire dall’alto e arrivare in basso. Volare dall’alto e scendere in basso, laggiù in fondo a un canalone, dove l’aspettava la gloria. Il suo podio era sotto un ponte da cui si buttavano quelli che la vita l’avevano lasciata, in un giorno qualsiasi, a quelli che rimanevano a raccontare agli altri i loro trionfi e i loro addii, le loro giornate particolari e i giorni senza fine, senza niente e nient’altro che il vivere a casaccio. E il giorno che vivere a casaccio non andava più bene a quel ragazzo lungo, bello e senza nessun fine preciso, il giorno che si lasciò volare giù e costrinse suo padre a scendere in basso e inginocchiarsi davanti a lui e sentirsi bene perché era diventato quello che doveva essere, un uomo che aveva preso una decisione importante, che aveva obbligato suo padre a essere un padre che piangeva un figlio senza nessuna altra possibilità che lasciare scorrere le sue lacrime senza fine e senza possibilità di confonderle con nient’altro. E il rapporto padre figlio cominciò veramente, un padre davanti a un figlio morto che cominciava a morire anche lui. L’avvocato Agnelli moriva ed Edoardo Agnelli cominciava a vivere".  
     

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