Ecco perché in Italia la gente non va allo stadio: c'entra anche Calciopoli
L'inchiesta evidenzia come il calo che da qualche anno registrano le presenze degli spettatori negli stadi della serie A, seppure con alcune eccezioni che non invertono però la tendenza generale, rappresenti un segnale di disaffezione del pubblico che investe anche gli ascolti televisivi. Ogni anno in Italia si registrano cali di spettatori negli stadi con presenze in Italia molto inferiori rispetto a quelle registrate negli altri campionati europei. In particolare, la Serie A italiana nel girone di andata della stagione 2016/17, con una media di 21.457 spettatori a partita, ha raggiunto una copertura del 55% dei posti disponibili, in calo rispetto al 59% della stagione 2010/11, e molto inferiore rispetto all’oltre 90% di Inghilterra e Germania, ma anche al riempimento medio in Spagna e Francia. La media di spettatori della 23ma giornata, pur contassegnata da Juventus-Inter, è scesa a 19.362 spettatori, confermando la tendenza al ribasso delle giornate precedenti.
Questo calo non è dovuto solo alla mediatizzazione del calcio perché, negli ultimi anni, si registrano cali del 4% anche nell’audience del campionato italiano sulle Pay Tv, questo nonostante i picchi d’ascolto in occasione dei match più importanti (Juventus-Inter è stata vista su Sky e Mediaset da oltre 3 milioni e 700 mila persone, pari al 13,53% di share).
La ricerca rileva come il distacco dal gioco del calcio e dalla sua fruizione sia avvenuta per diverse ragioni, riassunte in tre punti:
1. ipotesi estetica: disaffezione per il peggioramento della qualità dello spettacolo in campo, ma anche per la mancanza di servizi adeguati negli stadi che per il 44% sono stati costruiti prima del 1949.
2. ipotesi organizzativa: le società calcistiche italiane non si sono dimostrate all’altezza dell’organizzazione dello spettacolo e le istituzioni di controllo non hanno sempre saputo garantire una efficace vigilanza sul sistema. I ricavi del calcio in Italia dipendono per il 60% da diritti televisivi e media, questa forte dipendenza costituisce un’anomalia rispetto all’Europa e un fattore di rischio per la tenuta del sistema. Aumentano i fatturati ma anche i casi di società professionistiche che non vengono iscritte o subiscono penalizzazioni per mancato rispetto delle norme sul fair play economico (56 punti di penalità nel 2014/15 rispetto ai 28 del 2013/14 e ai 24 del 2012/13).
3. ipotesi etica: i ripetuti scandali (Calciopoli, Scommessopoli) hanno prodotto una crisi di credibilità del sistema e una perdita di fiducia del pubblico.
In ultima analisi, sostiene l'inchiesta, tutti questi aspetti insieme contribuiscono a raffreddare la passione e, sotto la generale pressione alla contrazione dei consumi esercitata dalla crisi economica, concorrono a riorganizzare “al ribasso” i percorsi e le strategie di fruizione del calcio nel suo complesso.