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Inghilterra, la tradizione diventa innovazione: così il Burnley scova talenti con un'app e un algoritmo
Con il loro ingresso nel calcio europeo, gli investitori asiatici e statunitensi hanno cambiato il modo di intendere lo sport più bello del mondo, trovando terreno fertilissimo proprio nel paese che lo ha inventato e nel campionato più competitivo al mondo, la Premier League. Oggi ad essere decisivo non è più solo il campo: una parte consistente del successo la si ottiene attraverso programmazione ed innovazione. Così, il 2021 sarà ricordato come l’anno in cui l’astrofisica, la data analysis e l’intelligenza artificiale sono entrate a gamba tesa nel mondo del pallone. In Inghilterra sono già avanti anni luce rispetto al resto d’Europa, ma, per giudicare se questo nuovo approccio sarà redditizio o meno, dovremo aspettare il giudizio del campo, che ha sempre l’ultima parola.
LE NUOVE FRONTIERE - È noto che Guardiola collabori con un team di match analyst in cui sono presenti tre fisici ed un astrofisico, che hanno il compito di osservare i movimenti dei giocatori in campo e trarne dei codici, delle formule, che rendano l’analisi delle partite qualcosa di molto simile ad una scienza esatta. Sempre al Manchester City, De Bruyne si è recentemente affidato ad un gruppo di data analyst che hanno studiato ogni aspetto del suo gioco e le probabilità di successo del club a lungo termine, prima di firmare un importante prolungamento di contratto con i Citizens. Il grande rivale di Pep, Jurgen Klopp, si avvale invece di un campione di scacchi per prevedere gli esiti delle partite e studiare mosse e contromosse. Ma perché fermarsi all’ingegno umano quando si può sfruttare anche l’intelligenza artificiale? Ci ha già pensato la Football Association, che ha sviluppato un software in collaborazione con Google, che raccoglie video e statistiche legati a numerosissimi aspetti di gioco per tutti i giocatori selezionabili da Southgate in vista dell’Europeo, durante il quale, poi, monitorerà gli esercizi fisici svolti in palestra dai convocati e la quantità e qualità del loro sonno prima e dopo le partite.
L’APP DEL BURNLEY PER SCOVARE NUOVI TALENTI - Il primo club inglese a farne uso è il Burnley. Il 31 dicembre 2020, l’84% delle quote del club sono state acquistate da un fondo di investimenti sportivi americano, l’ALK. Il fondatore, Alan Pace, è diventato il presidente dei Clarets, ma prima aveva avuto un ruolo chiave nello sviluppo di un’app chiamata AiScout. Progettata in collaborazione con IBM e la Loughborough University di Londra, con un ex giocatore del Chelsea, Gareth Hall, nel ruolo di Head of Football Operations, AiScout ha firmato, lo scorso 13 gennaio una partnership con il Burnley, che la utilizzerà per scoprire nuovi talenti in Inghilterra e non solo.
COME FUNZIONA - L’app consente ad aspiranti calciatori di tutto il mondo, in età compresa fra i 14 e i 23 anni di caricare filmati che li riprendano mentre svolgono esercizi fisici e tecnici, che vengono poi valutati dall’intelligenza artificiale e possono essere visionati da qualunque club inglese. Il Burnley, però, è andato oltre: insieme ai progettatori dell’app, hanno sviluppato un algoritmo in grado di selezionare i giovani le cui caratteristiche meglio si adattano allo stile di gioco di Sean Dyche. Migliaia di ragazzi, provenienti da 125 paesi, si sono iscritti dalla data del lancio a oggi e il Burnley ne ha selezionati 28 che avranno la possibilità di trascorrere una settimana in prova a Turf Moore e farsi notare dai coach delle squadre giovanili del club. L’obiettivo dichiarato è quello di estendere il bacino del club, dallo Lancashire a tutto il mondo, oltre ad una maggior efficienza nella selezione dei talenti con la possibilità, chissà, di scovare i Mount, Foden e Sancho del futuro.
INNOVAZIONE VS TRADIZIONE - Qui, però, sorge spontanea una contraddizione: come mai tutte queste innovazioni avvengono in un paese così notoriamente tradizionalista, dal punto di vista calcistico e non, come l’Inghilterra? In realtà la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: perché delle 20 squadre di Premier League solo 4 sono ancora di proprietà di imprenditori inglesi (Tottenham, West Ham, Newcastle e Brighton) mentre in Championship ne sono rimaste 13 su 24. Tutte le altre sono state acquisite, almeno per la metà delle quote, da fondi, sceicchi, magnati o imprenditori stranieri. Di questi 27, 11 sono asiatici, 8 statunitensi, 5 europei e 3 mediorientali. Ognuno ha un diverso modo di fare business e, soprattutto, tutti hanno tanti soldi da investire, non solo per ottenere risultati sportivi, ma specialmente per convertire i club di calcio in una fonte di guadagno. È inevitabile allora che il campionato più tradizionale al mondo diventi anche quello più innovativo.
LE NUOVE FRONTIERE - È noto che Guardiola collabori con un team di match analyst in cui sono presenti tre fisici ed un astrofisico, che hanno il compito di osservare i movimenti dei giocatori in campo e trarne dei codici, delle formule, che rendano l’analisi delle partite qualcosa di molto simile ad una scienza esatta. Sempre al Manchester City, De Bruyne si è recentemente affidato ad un gruppo di data analyst che hanno studiato ogni aspetto del suo gioco e le probabilità di successo del club a lungo termine, prima di firmare un importante prolungamento di contratto con i Citizens. Il grande rivale di Pep, Jurgen Klopp, si avvale invece di un campione di scacchi per prevedere gli esiti delle partite e studiare mosse e contromosse. Ma perché fermarsi all’ingegno umano quando si può sfruttare anche l’intelligenza artificiale? Ci ha già pensato la Football Association, che ha sviluppato un software in collaborazione con Google, che raccoglie video e statistiche legati a numerosissimi aspetti di gioco per tutti i giocatori selezionabili da Southgate in vista dell’Europeo, durante il quale, poi, monitorerà gli esercizi fisici svolti in palestra dai convocati e la quantità e qualità del loro sonno prima e dopo le partite.
L’APP DEL BURNLEY PER SCOVARE NUOVI TALENTI - Il primo club inglese a farne uso è il Burnley. Il 31 dicembre 2020, l’84% delle quote del club sono state acquistate da un fondo di investimenti sportivi americano, l’ALK. Il fondatore, Alan Pace, è diventato il presidente dei Clarets, ma prima aveva avuto un ruolo chiave nello sviluppo di un’app chiamata AiScout. Progettata in collaborazione con IBM e la Loughborough University di Londra, con un ex giocatore del Chelsea, Gareth Hall, nel ruolo di Head of Football Operations, AiScout ha firmato, lo scorso 13 gennaio una partnership con il Burnley, che la utilizzerà per scoprire nuovi talenti in Inghilterra e non solo.
COME FUNZIONA - L’app consente ad aspiranti calciatori di tutto il mondo, in età compresa fra i 14 e i 23 anni di caricare filmati che li riprendano mentre svolgono esercizi fisici e tecnici, che vengono poi valutati dall’intelligenza artificiale e possono essere visionati da qualunque club inglese. Il Burnley, però, è andato oltre: insieme ai progettatori dell’app, hanno sviluppato un algoritmo in grado di selezionare i giovani le cui caratteristiche meglio si adattano allo stile di gioco di Sean Dyche. Migliaia di ragazzi, provenienti da 125 paesi, si sono iscritti dalla data del lancio a oggi e il Burnley ne ha selezionati 28 che avranno la possibilità di trascorrere una settimana in prova a Turf Moore e farsi notare dai coach delle squadre giovanili del club. L’obiettivo dichiarato è quello di estendere il bacino del club, dallo Lancashire a tutto il mondo, oltre ad una maggior efficienza nella selezione dei talenti con la possibilità, chissà, di scovare i Mount, Foden e Sancho del futuro.
INNOVAZIONE VS TRADIZIONE - Qui, però, sorge spontanea una contraddizione: come mai tutte queste innovazioni avvengono in un paese così notoriamente tradizionalista, dal punto di vista calcistico e non, come l’Inghilterra? In realtà la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: perché delle 20 squadre di Premier League solo 4 sono ancora di proprietà di imprenditori inglesi (Tottenham, West Ham, Newcastle e Brighton) mentre in Championship ne sono rimaste 13 su 24. Tutte le altre sono state acquisite, almeno per la metà delle quote, da fondi, sceicchi, magnati o imprenditori stranieri. Di questi 27, 11 sono asiatici, 8 statunitensi, 5 europei e 3 mediorientali. Ognuno ha un diverso modo di fare business e, soprattutto, tutti hanno tanti soldi da investire, non solo per ottenere risultati sportivi, ma specialmente per convertire i club di calcio in una fonte di guadagno. È inevitabile allora che il campionato più tradizionale al mondo diventi anche quello più innovativo.