Questo post l’ho scritto mentalmente stanotte, mentre rientravo in autostrada da Bologna a Milano. Silenzio, solitudine, qualche camion in lontananza, decine di notti all’anno passate ormai in questo modo, tra uno studio tv e il letto. Ho riflettuto sui tanti giovani che mi scrivono ogni settimana, ogni giorno, con il sogno di fare il giornalista sportivo.
È una professione meravigliosa, che mi ha permesso di viaggiare e di conoscere grandi personaggi. La iniziai a fare nei primissimi Anni 90. Allora si riteneva ancora che fosse un mestiere in espansione, dove il futuro sarebbe stato sempre un pochino migliore del presente. Inviati che passavano da un giornale all’altro, riviste che nascevano come funghi, una categoria pagata benissimo, ma che in cambio offriva ogni mattina un’avanguardia di pensiero e di scrittura. La famosa preghiera dell’uomo moderno, per dirla con Hegel.
Poi i primi scricchiolii. Sempre più pensionati e sempre meno praticanti, sempre meno trasferte e sempre più agenzie o Internet. Figli di papà e raccomandati politici che entravano come prima, ma che erano gli unici a riuscirci. Colleghi che hanno barattato la preparazione, la riqualificazione (magari tecnologica), in cambio di piccoli bonus, briciole sui buoni pasto o sull’auto aziendale. Qualcuno ha mestamente continuato a gonfiare le note spese. Da ultimo ci si è messo il sindacato, che ha sempre protetto i vecchi pachidermi a costo di sopprimere i giovani e le loro speranze. Una chiusura disperata e cattiva contro i ragazzi che bussavano e bussano alle porte, per non perdere i privilegi antichi degli iscritti, per non cedere nulla del proprio ad altri. È la ragione per cui, nel 2001, esattamente dieci anni fa, sono uscito dalla Fnsi. Un dolore per chi credeva nel ruolo di un sindacato. In questa piccola restaurazione silenziosa, che ha costruito una riserva per giornalisti, a pagarne le conseguenze sono stati i giovani, i ragazzi. Alcuni straordinari, con una preparazione dieci volte superiore ai giornalisti ricchi e protetti. Giovani che hanno viaggiato, che sanno le lingue, che amano e conoscono il calcio fin nei minimi dettagli. Sabato ero a Modena a vedere la Serie B e ne ho incrociati alcuni in tribuna, come stanno in decine di stadi italiani. Mi piacerebbe tentare un test tra qualcuno di loro e qualche grande penna dei quotidiani, ci sarebbe da divertirsi.
Ma i ragazzi devono rimanere fuori, accontentarsi di 8 euro lordi a pezzo perché ci sono da salvaguardare stipendi da 3 o 4mila, dunque non devono rompere le scatole ai nababbi, liberi di fare nonnismo e di teorizzare il privilegio. So bene che avviene in tutte le professioni, in tutti i posti. Ma il giornalismo prevederebbe per sua natura dinamicità, rischio, voglia di crescita, un minimo segno di differenza rispetto ai notai. Solo un crudo pensiero notturno.