Difendo Leonardo: come direbbe Mourinho, non è mica un pirla
di Xavier Jacobelli
Il giorno dopo Bayern-Inter 2-3, addì 16 marzo 2011, non 2001 e nemmeno 1991, cioè soltanto tre settimane prima di Inter-Schalke, Leonardo era stato innalzato sugli altari del calcio, in un tripudio di elogi e di applausi che, a tratti, era sconfinato nella piaggeria.
E, basta consultare le emeroteche dei giornali o cliccare sui motori di ricerca per averne la prova, persino i detrattori più prevenuti del brasiliano avevano proclamato a denti stretti la grandezza del giovane tecnico ex milanista sulla panchina della squadra campione d'Italia, d'Europa e del mondo in carica. Battuto nel derby (dove era stato il bersaglio di un'incivile e indecente valanga di insulti da parte di alcune frange di ex tifosi) e ribattuto in Champions League al termine delle 72 ore peggiori della sua carriera, improvvisamente Leonardo è diventato un incapace, un dilettante, un inesperto, uno sprovveduto. E cito soltanto gli epiteti più graziosi rivolti al signor Nascimento do Araùjo, 41 anni, praticamente già messo alla porta dal circo mediatico, malato di bulimia e ottenebrato dalla fretta del dopo, incapace di valutazioni equilibrate, immemore di tutto quanto di brillante l'allenatore aveva fatto prima del derby.
Così, dopo due giorni di processi e di indiscrezioni, di improvvise quanto retrodatate apparizioni di Guardiola a Milano; di invocazioni a Mourinho perchè torni subito, possibilmente domani; di contatti con il suo giovane e rampante discepolo Andrè Villas Boas, pigmalione del Super Porto; di progetti di rifondazione e di prefiche che non vedevano l'ora di danzare attorno al catafalco interista, viene spontaneo difendere Leonardo. Con un'arringa articolata in 8 punti che non porti né ad una generica assoluzione per insufficienza di prove né ad edulcorare i suoi errori. Che ci sono, com'è normale che sia, ma che non possono essere usati come una clava per demolire la bravura e la preparazione di un tecnico che ha il diritto di sbagliare e di prendersi tutte le rivincite che merita.
1) Arrigo Sacchi ha scritto sulla Gazzetta: "Leonardo guida una buona vettura con poca benzina". Parole sagge e, soprattutto, vere.
2) Il primo ad accorgersene era stato Benitez, tecnico dal grande palmarès e dall'altrettanto grande prestigio: assodato che l'età media dell'Inter era di 29,5 anni (la più alta fra gli organici delle Grandi d'Europa) e quindi la rosa necessitava di rinforzi di prima qualità; che, sotto il profilo psicologico, la squadra aveva bisogno di nuove motivazioni dopo i trionfi mourinhiani, lo spagnolo si è trovato di fronte agli errori di un non mercato estivo (cessione di Balotelli, nessun arrivo degno di questo nome) nonchè ad una terrificante tournée nordamericana che ha letteralmente sfasciato i programmi di preparazione precampionato, le cui conseguenze sono state l'impressionante catena di infortuni. Nonostante la quale, Benitez ha conquistato due trofei su tre, prima di essere scaricato con la complicità dei giocatori che o gli hanno remato contro o, peggio ancora, non l'hanno aiutato quando ne aveva bisogno.
3) Leonardo è stato bravissimo a ricaricare le pile della squadra, riguadagnando 11 punti sul Milan, portandosi a -1 dallo stesso prima del derby, entrando nei quarti di Champions League grazie all'impresa di Monaco e qualificandosi alle semifinali di Coppa Italia eliminando il Napoli, oggi secondo a 3 punti dai rossoneri, dopo i rigori.
4) Se Pazzini non può essere impiegato in Champions, non è colpa di Leonardo. Se Ranocchia, classe 1988, paga il pedaggio del'inesperienza internazionale, non è colpa di Leonardo. Se Chivu ha preso l'abitudine di farsi espellere nella ripresa dopo avere commesso falli gratuiti, non è colpa di Leonardo. Se Milito torna a giocare dal primo minuto dopo mesi e mesi di assenza per infortuni e ricadute, non è colpa di Leonardo. Se Lucio è squalificato e non può giocare contro lo Schalke, non è colpa di Leonardo. Se Samuel si è gravemente infortunato prima che arrivasse Leonardo, non è colpa di Leonardo.
5) E' colpa di Leonardo l'assetto con tre punte e un trequartista presentato nel derby ed esposto al micidiale contropiede milanista. E' colpa di Leonardo non avere protetto una difesa che ha incassato 19 gol in 9 partite di Champions. E siccome i numeri schiacciano le parole, ce ne sono alcuni sui quali il brasiliano sta riflettendo in questi giorni assieme alla squadra. Fra campionato e coppe, i nerazzurri prendono 1,31 gol a partita e subiscono 4,7 tiri a partita, gli stessi registrati dal Milan che però subisce 0,71 gol a gara e agli avversari concede 3,5 tiri ogni gara. E mentre il Leonardo del Milan chiudeva il 36,8% degli incontri mantenendo la propria rete inviolata, il Leonardo dell'Inter ha una media del 25%.
6) Come allenatore, Leonardo non è ancora diventato un fenomeno, anche perchè è alla seconda stagione in carriera, ma non si è improvvisamente rimbambito. Per dirla alla Mourinho, non è mica un pirla. La sua concezione è offensivistica ed è la benvenuta in un calcio italiano che non può tornare al catenaccio: deve apportare subito alcuni correttivi in difesa e, conoscendone la sagacia, lo farà.
7) Leonardo può contare sull'unità della squadra - le parole di Zanetti e il sostegno di Moratti sono molto significative - e su una situazione che non è affatto disperata. L'Inter è ancora in corsa per lo scudetto e per la Coppa Italia, mentre il 13 aprile, a Gelsenkirchen, sarà chiamata a un'impresa sulla carta impossibile: vincere con 4 gol di scarto oppure con un margine di 3 reti segnandone almeno 6 allo Schalke. Ma anche i tedeschi non avrebbero mai immaginato di rifilare ai campioni in carica la seconda peggiore sconfitta interna di tutta la loro storia europea. Wait and see: aspettiamo e vediamo.
8) Il giudizio sul lavoro del brasiliano deve essere emesso dopo il traguardo, non quando la volata è in pieno svolgimento. Quanto agli invidiosi, ai gufi, ai dopoisti cioè chi pontifica sempre dopo, sfoghino pure la loro bile. Ma rispettino l'opera di un allenatore che costituisce un patrimonio prezioso per l'intero calcio italiano. Per il suo modo di essere e di lavorare.