Redazione Calciomercato
Del Piero e lo Stadium, una canzone d'amore e una preghiera: la Juve rivuole la sua identità
In un momento così critico per il club un buon rifugio è sempre la nostalgia. Guardiamo indietro, quando il futuro ci fa paura. Non è solo una bandiera che sventola, Del Piero, ma un poster che viene riappeso al muro. La storia è lui, nessuno si senta offeso. Lo avevamo lasciato quasi undici anni fa. Il tempo va veloce, non aspetta nessuno. Ricordate? Non si erano lasciati bene (eufemismo), Del Piero e Andrea Agnelli, cioè Del Piero e la Juve. C’era stata quella storia del contratto in bianco, c’erano state dichiarazioni poco opportune, c’era stato uno strappo sgradevole, c’era che anche le favole prima o poi finiscono e talvolta lo fanno così, in maniera violenta.
13 maggio 2012, l’ultima volta contro l’Atalanta. La settimana prima - battendo il Cagliari nel campo neutro di Trieste - la Juve di Conte ha vinto il suo primo scudetto. Comincia un’era, gli scudetti, da Conte ad Allegri fino a Sarri, arriveranno in catena di montaggio: nove di fila, Del Piero ha messo la firma solo sul primo. Poi si è sfilato. Ora lo vogliono vicepresidente. Con una carica alla Nedved. Ma Del Piero non è Nedved. E chissà quanto della nuova Juve che nascerà dopo i processi ci sarà di questa vecchia Juve.
Forse quella di Del Piero è una storia che aspetta ancora il suo finale. Forse ci siamo. “Un capitano! C’è solo un capitano!” hanno cantato i tifosi dello Stadium. Non era una celebrazione, somigliava quasi a una preghiera. Non lo dicevano a Del Piero, lo dicevano a loro stessi. “Un capitano! C’è solo un capitano!”. Ma non è mica vero. Di capitani ce ne sono tanti, ce ne sono stati e ce ne saranno. Di Del Piero ce n’è uno. Rievocarlo significa marcare un’identità che non necessariamente coincide con quella attuale.