Da meta a tappa, la caduta vertiginosa dell'Italia del calcio
C'era una volta il calcio italiano, bello, ricco e vincente, sogno dei calciatori di tutto il mondo. Di quel calcio, fatta eccezione per l'exploit dell'Inter nel 2010, non c'è più traccia da tempo. Gli scandali calciopoli, scommessopoli e fallimentopoli, un sistema fiscale che non agevola, i cavilli burocratici soprattutto per la legge sugli stadi e l'incapacità dei vertici della Federazione di aggiornarsi e di fare un passo indietro (Abete confermato presidente, nonostante i molteplici fallimenti della sua gestione) hanno retrocesso il movimento calcistico italiano a succursale d'Europa. Superati dalla Germania nel ranking Uefa, con Francia e Portogallo negli specchietti, il calcio italiano è agonizzante, incapace di reagire. Di questo passo, i nostri club giocheranno i preliminari di Champions a luglio.
I grandi campioni fanno fatica ad arrivare, le giovani promesse se ne vanno. Oggi Sanchez e Pastore, domani Lamela e Alvarez? Gli investitori stranieri, sceicchi o magnati che siano, vengono in Italia per far le vacanze e per trattare l'acquisto di giocatori, non per investire. E tra questi giocatori ci sono sempre più spesso gli italiani, un fenomeno che con le dovute misure somiglia a quello "della fuga dei cervelli". Giocatori ma anche allenatori. Basti pensare a Spalletti, Mancini, Trapattoni, Ancelotti o Capello.
Economicamente i club italiani partono in seconda fila, per acquistare un giocatore si sono inventati prima il prestito con "obbligo" di riscatto, ora una parte fissa più bonus. Le trattative sono lunghe, difficili, tortuose e non sempre vincenti, come dimostra l'affare Rossi. All'estero c'è una maggiore disponibilità, anche da realtà in crescita come Malaga e Psg. Il calcio è cambiato, l'Italia è rimasta indietro.