Lacrime e pressione: Messi e Neymar, quando essere fenomeni non basta
L'OMBRA DI DIEGO - Altra rassegna iridata, la fascia di capitano ancora stretta attorno al braccio, la presenza ingombrante di Maradona sugli spalti e nella testa: la vittoria Mondiale del 1986 con Diego condottiero come promemoria indelebilmente stampato davanti agli occhi. Messi non è lontano da Neymar. Le lacrime di quest’ultimo sono rintracciabili nel viso tormentato, inquieto, con cui il fuoriclasse argentino ascoltava ieri l’inno nazionale, a pochi minuti dalla decisiva partita con la Croazia. Sono anni che Lionel cavalca e allo stesso tempo subisce l’eterno paragone con Maradona. I risultati e le prestazioni fornite con il Barcellona non lasciano spazio ad interpretazioni, brillano di luce propria. Meno sfavillante il ruolino di marcia con l’Albiceleste: con l’Argentina le responsabilità schiacciano e reprimono la classe della Pulce. Momenti bui, come quando dopo la sconfitta ai rigori nella finale della Coppa America del 2016 annunciò l’addio alla nazionale, cadenzati da una continua sensazione di inadeguatezza. Dopo il rigore malamente sbagliato contro l’Islanda, la madre ha pubblicamente rivelato quanto le continue critiche facciano soffrire e disperare il figlio. Un’ammissione non necessaria per comprendere quello che continui conati di vomito e generica abulia avevano già fatto intuire.
COLPEVOLI - Quando hai un popolo intero che ti guarda, che crede in te, affidandosi totalmente. Quando con una giocata puoi regalare gioia o disperazione a milioni di persone lo stomaco si stringe, la testa inizia a frullare vorticosamente, pensieri negativi che si sommano, l’ansia che diventa intollerabile, la paura di sbagliare, di essere additato come il colpevole, di non essere abbastanza bravo da far quello che tutti si aspettano tu faccia. Sensazioni a volte ingestibili, un misto di pressione e responsabilità che può annichilire chiunque. Anche i fenomeni sono umani.