Da Gagliardini a Caldara: l'Atalanta ha investito e incassa sul futuro dell'Italia
Adesso è facile dire che l’Atalanta ha vinto (con la gestione e i risultati) e che continuerà a farlo. Bisognava sbilanciarsi quattro mesi fa, quando fioccavano le sconfitte, la piazza mugugnava e Percassi voleva a tutti i costi liberarsi di Gasperini. Io stesso dissi che l’allenatore aveva fatto bene solo a Genova, che i trapianti altrove non erano riusciti, che non aveva certo limiti tattici (gioca con tutti i sistemi di gioco), ma forse l’ambiente lo stava condizionando negativamente. Bergamo è viscerale come Genova, ma ha tratti di ombrosità tipicamente orobica.
In realtà, come tutti gli innovatori, Gasperini stava guidando una squadra che non andava e aveva in animo di cambiarla senza aspettare il mercato, ma guardando semplicemente all’interno della rosa e del vivaio. Una scelta logica, ma rischiosa. Non sempre, infatti, gli allenatori possono fare ciò che vogliono. Nonostante non lo si creda possibile, esistono ancora presidenti che “consigliano” la formazione o che storcono il naso per il mancato impiego del pezzo più pregiato della campagna acquisti. Non posso dire che questo sia avvenuto anche all’Atalanta, ma non dov’essere stato facile, per esempio, preferire Petagna a Paloschi, pagato allo Swansea quasi dieci milioni di euro.
Tuttavia Gasperini ha proceduto pensando che i suoi anni di calcio contassero di più di tutto il resto. Non ha scelto i giovani solo perché l’Atalanta ne sforna molti, ma perché quelli che c’erano sono risultati compatibili con il suo gioco.
Prendiamo Gagliardini già ceduto all’Inter per 25 milioni complessivi. Esattamente un anno fa era in prestito al Vicenza, in serie B e Marino se ne volle disfare, come avevano fatto prima a Spezia. Stentava in B, in serie A non aveva mai giocato, Gasperini l’ha messo a fare la mezzala e non l’ha tolto più (tranne, ovviamente, per le squalifiiche). La domanda è: forse prima giocava fuori ruolo? No, di certo. Forse prima si allenava meno bene? Nemmeno per sogno, il ragazzo è sempre stato esemplare. Allora cos’è cambiato? Semplicemente il contesto: l’allenatore che ti dà fiducia incondizionata; i compagni che ti cercano; la media dei passaggi riusciti che aumenta. In una parola si realizza una crescita. Gagliardini ha ventidue anni, è giovane, ma non più giovanissimo. Rischiava, come molti altri di restare ai margini. Gasperini forse non ha visto in lui il campione, ma gli ha tirato fuori il meglio che aveva. Ora l’Inter - un altro contesto, un altro allenatore - dirà fino a dove può arrivare.
Il discorso è leggermente diverso per Caldara. Al contrario di Gagliardini, andrà alla Juve solo nel luglio 2018 - tra un anno e mezzo -, nel frattempo maturerà l’esperienza all’Atalanta. Anche Caldara non è più un ragazzo (22 anni), anche Caldara è stato pagato tanto (25 milioni complessivi), anche Caldara è un’invenzione di Gasperini (centrale difensivo di un reparto a tre). Non è un ruolo più difficile, ma più scoperto. Sei a ridosso dell’area, ti riduci spesso all’uno contro uno. Forse dare a Caldara una dimensione da grande calciatore è troppo, ma con i giovani bisogna anche rischiare. Se l’ha fatto Gasperini sul campo, è giusto che lo facciano Inter e Juve sul mercato.
Delle due l’una: o si investono danari per il proprio vivaio o si comprano i prodotti migliori di quelli altrui. L’importante era invertire la tendenza. Non solo per valorizzare il patrimonio nazionale (e della Nazionale), ma anche perché il calcio si caratterizza sempre di più per essere un fenomeno identitatario: far crescere una generazione di italiani, come quella attuale, significa costruire le fondamenta sia del successo sportivo, sia dell’equilibrio economico. L’Atalanta l’ha capito per prima (l’Udinese, invece, l’ha fatto soprattutto con gli stranieri) e ora si gode frutti copiosi e maturi.