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    Cremonese, bentornata nell’Olimpo nel nome del calcio degli uomini!

    Cremonese, bentornata nell’Olimpo nel nome del calcio degli uomini!

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Personalmente non conosco Giovanni Arvedi, il patron della Cremonese, che mi dicono essere uno di quegli imprenditori dai modi gentili ispirati dalla filosofia illuminata, sempre più rara, che apparteneva al grande Olivetti. Un uomo non soltanto rispettato, ma profondamente amato dalla gente di un territorio al quale lui offre lavoro e dignità. Sono tremila e cinquecento gli uomini e le donne impiegati nell’acciaieria che appartiene all’imprenditore lombardo. Un piccolo villaggio nella città conosciuta a livello popolano per le “Tre T” ovvero le sue Torri, il suo Torrone e il suo Ugo Tognazzi. Di un passo sopra, quello della cultura, il nome di Stradivari e dei sui violini spicca nel mondo rendendo Cremona un luogo “unico” per la musica. E anche qui compare il nome di Giovanni Arviedi come presidente del “Museo del violino”. Da ieri una nuova medaglia che poi tanto nuova non è perché ci fu un tempo che la Cremonese Calcio stazionava con merito e onore nell’Olimpo del pallone.

    Un’epoca, impossibile da dimenticare, che è giusto celebrare proprio oggi. Nel nome di Domenico Luzzara e dei sui Cavalieri della Tavola Rotonda tutti protagonisti della leggenda di Camelot il castello degli uomini giusti perso tra le nebbie di Avalon rivisitate in chiave padana. Ebbene, quando Cremona era Camelot e quando il castello di Artù era l’Hotel Continental ho conosciuto bene il “re” e i suoi cavalieri. Frequentati con una regolarità puntuale al punto da diventare autentica amicizia e persino malcelata complicità. Al tavolo della cena e poi a quello dello scopone scientifico tirando tardi mentre i “ragazzi” dell’esercito calcistico erano a nanna nello loro camere. Domenico Luzzara, il suo Lancillotto in arte Erminio Favalli, due anime indomite e gentili come miliano Mondonico prima e Gigi Simoni poi. Il più abile nello spariglio era il presidente e quasi sempre vinceva lui. Giocava e raccontava partendo sempre da quando faceva il manager a Ugo Tognazzi, suo coetaneo, e non avevano una lira.

    Poi passava a dire di Mina Mazzini, altro bel prodotto locale, che però da ragazzina urlava troppo per i suoi gusti musicali. Ma era quando si finiva a parlare di calcio che il presidente smetteva con le carte e attaccava un monologo che non ammetteva intrusioni. Parlava della Cremonese, parlava d’amore. Trentadue anni. Tanto tempo è durato quel legame che andava oltre il dato professionale e la passione per il pallone perché era determinato dalla promessa che il presidente aveva fatto al figlio andato via troppo presto. Trentadue stagioni vissute comunque alla grande e segnate dal rispetto che tutti gli appartenenti all’Olimpo del calcio mostravano per quella piccola ma preziosa realtà che era la Cremonese di Luzzara. Da Boniperti a Mantovani, da Moratti a Dino Viola, da Rozzi a D’Attoma e tutti gli altri ciascuno era onorato di discutere e di fare affari con lui.

    Ed erano sempre ottini affari perchè il presidente ogni volta sapeva tirare fuori dal cilindro un prezioso coniglio bianco. Cabrini, Vialli, Prandelli, Lombardo, Marocchino, Enrico Chiesa, Dezotti, Favalli, Rampulla tutti per la serie sono stati famosi. Loro che respirarono l’aria buona di Camelot dove l’uomo contava più di un gol. Molto di più. Da oggi, con Arvedi, si replica.

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