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Coronavirus, Gabbiadini: 'Ho avuto paura, ai primi allenamenti non ero al top. Mio padre? Cerca di evadere...'
SULLA FAMIGLIA - “Temevo di trasmetterlo alla famiglia, ma per fortuna non è successo. Mia moglie magari lo aveva preso prima di me, a gennaio, quando è stata 20 giorni con la tosse e 4-5 con la febbre. Altrimenti dormendo insieme sarebbe stato difficile evitare il contagio. Dopo che mi hanno detto della mia positività, la prima settimana ho dormito da solo, isolato in una parte della casa. Mai e poi mai avrei voluto trasmettere il virus a Martina e ai bambini. All’inizio è stata dura vederli poco e non poterli abbracciare. Dalla seconda settimana con i guanti e la mascherina qualche volta ho iniziato a prenderli in braccio: non resistevo più…”.
SUGLI ALLENAMENTI - “Ho ripreso ad allenarmi una settimana dopo la positività avevo provato a fare qualcosa, ma sono stato costretto a fermarmi perché non ero al top, non stavo bene e così mi sono limitato a qualche allungamento per la schiena visto che mi ero bloccato. Dopo 15 giorni ho ripreso con la cyclette e gli elastici seguendo i programmi che lo staff tecnico ci manda ogni sera su Whatsapp”.
SU BERGAMO - “La mia lettera? Dopo aver visto il video dei camion dell’esercito che portavano via le bare di tante persone: sono state immagini terrificanti che mi fanno venire i brividi ancora adesso. In provincia di Bergamo vivono i miei familiari e mi raccontavano le scene: per giorni quando aprivano le finestre sentivano solo le sirene delle ambulanze che passavano. E’ stata una cosa toccante veder soffrire così la mia città d’origine. Preoccupato per i miei genitori? Inevitabile visto che sono in Lombardia, nella regione con più contagiati. Ci sentiamo spesso e sento quello che fanno: mio padre ogni tanto cerca… di evadere da casa (ride, ndr) e devo tenerlo sotto controllo. Lì ho anche una sorella con i due figli, mentre l’altra vive in Veneto. A Bologna ho la mia casa e quando non ho impegni calcistici vivo lì; a Genova sto benissimo e Nervi mi piace tanto, ma ho anche Bergamo nel cuore e quel “non mollare Bergamo” in dialetto era un modo per far capire che non ho dimenticato dove sono cresciuto. Noi bergamaschi siamo persone chiuse, ma vogliamo bene alla nostra città che sta ancora soffrendo. La situazione è migliorata, ma poco. Non siamo ancora fuori”.