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  • Coni, Malagò:|Darò il mio stipendio in beneficenza'

    Coni, Malagò:|Darò il mio stipendio in beneficenza'

    Da quella corsa nel salone d'onore del Coni finita nell'abbraccio alle sue gemelle, Vittoria e Ludovica, sono passati 40 giorni da presidente itinerante. Un viaggio quotidiano per incontrare presidenti federali che lo festeggiano con la mano destra (ma con la sinistra gli chiedono finanziamenti e sostegno), per visitare associazioni che vogliono contare, per partecipare a comitati periferici che si sentono abbandonati e vedono in lui l'uomo della provvidenza. Insomma, Giovanni Malagò dal giorno del trionfo Coni non s'è mai fermato. «Sento forte il senso della responsabilità che mi è stata affidata. Eppoi, fa parte del mio stile esserci, uscire dal Palazzo, rispondere a tutte le testimonianze. Non è forma ma sostanza: vedere, osservare, approfondire».

    Appunto, com'è questo Coni che presiede? 
    «Una macchina che giorno dopo giorno sto scoprendo e a livello centrale e a quello periferico. Faccio un esempio: il centro dell'Acquacetosa lo conosco da sempre, ma è tutt'altra cosa andare a vedere, capire cosa c'è dentro, conoscere da vicino la scuola dello sport, strutture di allenamento e l'attività dell'istituto di medicina dello sport, alta tecnologia».

    Centri di cui andare fieri, presidente. Ma lo sport è anche degrado, impianti poveri e fatiscenti, da Milano a Catania... 

    «Non c'è dubbio, nei giorni scorsi ero a Salerno dove mi sono confrontato con una realtà difficile, più problematica. E sono stato a Sestriere, dove bisogna affrontare un'eredità olimpica, quanto a impianti, complicata: i trampolini di Pragelato e la pista da bob di Cesana sono in stato di abbandono».

    La sua presidenza è appena decollata: tre punti di partenza, tre priorità del suo programma. 
    «1. Razionalizzazione e ottimizzazione della macchina, una gestione innovativa rispetto al passato. 2. Salvaguardia delle risorse, cercando supporti esterni all'attività sportiva. 3. Il problema appena accennato dell'impiantistica. Non si può avere un grande sport senza l'aiuto di impianti adeguati. Riprendere in mano e rilanciare la legge sugli stadi...».

    Scusi, scusi presidente, ma questa formuletta «legge sugli stadi» è diventata penosa tanto quanto la sbandierata «nuova legge elettorale»: in politica ci siamo tenuti «la porcata», mentre nello sport «la legge sugli stadi» è stata incenerita. 

    «È vero, è una vergogna. Quando ci penso sono colto da rabbia e da un sentimento che non le descrivo per non cadere in volgarità. Ma sono convinto di poter fare molto, come presidente del Coni: bisogna far capire alle istituzioni in tempi ragionevoli che puntare sull'impiantistica sportiva, agevolare questo settore, vuol dire fonte di sviluppo per il Paese».

    Parla di istituzioni politiche proprio lei che ha tolto i biglietti omaggio ai politici. Vedrà come saranno generosi... 
    «Quel provvedimento è nato in modo naturale, spontaneo».

    D'accordo, come? 

    «Non conoscevo quella realtà ereditata dalle precedenti gestioni. Quando la segreteria responsabile mi ha fatto notare che era necessario rinnovare le tessere, ho detto basta. Tutto qui».

    Una decisione che ha destato scalpore. 
    «Avevo detto che rappresento il nuovo. Voglio esserlo nelle piccole e nelle grandi cose. Adesso sono in una fase di valutazione, osservazione, non ho pregiudizi verso alcuno, ma prima o poi ci saranno situazioni che dovrò cambiare».
    Per esempio la situazione della Coni Servizi. Insomma, il governo nelle mani dei dimissionari Petrucci e Pagnozzi, i suoi «nemici».

    A proposito, c'è qualche imbarazzo quando vi incontrate? 

    «Zero. La domenica successiva alla mia elezione mi sono visto con Pagnozzi e Petrucci, in quell'occasione si chiarì che in questa prima fase dovevamo andare a braccetto. Cosa che sta accadendo. Petrucci e Pagnozzi, come presidente e amministratore delegato della Coni Servizi, si sono comportati in modo corretto e intelligente, hanno rassegnato il loro mandato all'organo competente, il ministero del Tesoro. Ora siamo in una fase politica di transizione: quando ci saranno un nuovo governo e un nuovo ministro del Tesoro, la Coni Servizi avrà un'altra guida».

    Le tre priorità del suo programma ce le ha dette. Ha in mente qualcos'altro nell'immediato? 

    «Mi sembra giusto rinunciare alla mia indennità di presidente del Coni».

    Il suo stipendio è poco più di 90 mila euro netti all'anno, come le salta in mente? 
    «Nella forma non posso, ci sono dei vincoli che non me lo consentono. Ma ho deciso di versare il mio appannaggio economico ad associazioni sportive, a società impegnate nel sociale. La prima a beneficiarne sarà quella di Maddaloni a Scampia».

    Complimenti. Ma perché lo fa? L'accuseranno di grillismo? Di populismo? 
    «Come loro rappresento una novità, ma dal grillismo sono molto lontano. La questione è molto più semplice: i presidenti federali non ricevono alcuna indennità, se non un gettone per i loro consigli e le loro riunioni operative, e lavorano a tempo pieno in condizioni difficili. Sarebbe un'ipocrisia se io, in quanto presidente del Coni, dovessi invece prendere uno stipendio».

    Aveva detto di essere il nuovo, sta mantenendo la parola. Ora lo attende il passo più delicato: come si comporterà quando il governo taglierà quei 411 milioni di finanziamento? Dovrà attivare quei «supporti esterni», vale a dire sponsor e altre fonti di sostegno, così difficili da trovare. Buon lavoro.


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