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  • CM intervista Sandro Solinas, il fascino e la storia degli stadi italiani: FOTO

    CM intervista Sandro Solinas, il fascino e la storia degli stadi italiani: FOTO

    • Antonio Martines
    Calciomercato.com intervista Sandro Solinas, autore di Stadi d'Italia della Goal Book Edizioni. Un volume imprescindibile per tutti gli italiani appassionati di stadi, tra i quali Sandro può essere considerato il numero uno: si tratta di un amante dello stadio inteso nel senso più profondo del termine. Sandro Solinas ha vissuto in molte città d'Italia - da nord a sud - e di stadi ne ha visti veramente tanti. In essi ha sempre cercato lo spirito del luogo, il sentimento del popolo che li abitava, le suggestioni che si respiravano e le storie che si raccontavano. Un'aneddotica che si compone di partite indimenticabili, grandi campioni, idoli di provincia o di semplici racconti che rendevano lo stadio un posto veramente unico, come poteva essere ad esempio quello costruito a ridosso di una ferrovia con il treno che immancabilmente passava durante una partita e a seconda che andasse in un verso o nell'altro poteva essere interpretato come buono o cattivo presagio. La sua passione per gli stadi quindi è piuttosto particolare e non è incentrata tanto sulla bellezza architettonica, sulla modernità, la capienza o la capacità di produrre utili di un impianto, quanto piuttosto sulla sua storia e sul suo valore intrinseco, sulla pura espressione di un tifo genuino e perduto; la stessa che portò Alex Ferguson a dire che lo stadio che lo impressionò di più in tutta la sua carriera, non fu il Camp Nou o San Siro ma l'Elland Road di Leeds con il suo urlo incessante e pauroso, come solo certe folle calcistiche dello Yorkshire e Humber sono in grado di fare.

    Partiamo da quella che, non può che essere la domanda principale: che cosa è per lei lo stadio? 
    "E' soprattutto un luogo che trasmette emozioni, un luogo affettivo, uno scrigno di ricordi, gioie e dolori, un modello eterno e intramontabile che affonda le sue radici nel Colosseo, quindi in un certo senso un vero e proprio luogo dell'Anima. Le origini sono lontane e vicine allo stesso tempo, tanto che molti stadi Italiani come quello di Bologna furono costruiti prendendo come modello proprio le strutture classiche. Si dice che Leandro Arpinati rimase talmente affascinato da una visita alle terme di Caracalla che ne impose lo stile anche per la costruzione del vecchio Littoriale". 

    Secondo lei in Italia quali stadi vanno salvati e quali invece ristrutturati o ricostruiti ex novo? 
    "Probabilmente andrebbero salvati tutti quegli stadi dedicati esclusivamente al calcio, come San Siro, il Ferraris di Genova o lo Jacovone di Taranto, un impianto estremamente sottovalutato ma che in Italia è stato precursore degli attuali canoni moderni. Molto belli sono anche il San Filippo di Messina, anche se sprovvisto di copertura e il Nereo Rocco di Trieste, un autentico gioiello che ha avuto come unico torto quello di non aver mai potuto usufruire degnamente di un palcoscenico come la Serie A. Discorso diverso invece per le arene ovali con la pista di atletica che sono invece delle strutture polifunzionali che nascono in un'epoca passata ma neanche troppo lontana in cui si pensava e si organizzava molta più atletica rispetto ad oggi, dove uno dei pochi appuntamenti rimasti è il Golden gala Romano; quando invece una volta c'erano molti più meeting, legati a sponsor che oggi non si trovano più. Tra quelli nuovi invece, vanno annoverati sicuramente lo Juventus Stadium e la Dacia Arena, anche se poi c'è da dire che questi stadi moderni si assomigliano un po' tutti, ma dal punto di vista del comfort sono ineccepibili...". 

    Quali sono stati in Italia gli errori principali in questo campo? 
    "Certe scelte del passato sono state indiscutibilmente  figlie di ambienti accademici chiusi e autoreferenziali.  E' innegabile che molti architetti di stadi lavorino più per se stessi che per la gente, il caso più eclatante è sicuramente stato quello del San Nicola di Renzo Piano, un impianto sovradimensionato per Bari che in certi momenti ha anche avuto il poco invidiabile record di essere stato l'impianto sportivo più sottoutilizzato d'Europa con un' affluenza media di soli 3.000 spettatori a fronte di una capienza di 58.000 posti. Io sono più legato a strutture che si lasciano ricordare per la loro storia e perché trasudano identità e suggestioni particolari, a discapito magari di comfort e modernità. Ad esempio da questo punto di vista credo che sia stato un delitto lasciare nel degrado più totale un impianto come il Flaminio". 

    Secondo lei perché i nostri stadi sono così vuoti? 
    "Da una parte è vero che i nostri stadi sono poco accoglienti, ma secondo me c'è anche una volontà nascosta e sottaciuta di tenerli mezzi vuoti, e questa non è solo una diretta conseguenza dell'invadenza delle TV che ha drogato squadre e tifosi sempre più legati al divano. Poi limitazioni di ordine pubblico e spettacolo non più all'altezza del passato, derivante dalla mancanza di campioni e qualità del gioco. Questo però è un fenomeno che sta interessando quasi esclusivamente il calcio italiano, perché poi invece all'estero siamo in presenza di un fenomeno opposto, con pubblico in continua crescita e questo ha a che fare fino a un certo punto col discorso degli stadi di proprietà, visto che comunque in Francia e Germania – a differenza dell'Inghilterra – gli stadi non sono tutti di proprietà dei club, anzi il più delle volte appartengono alle amministrazioni comunali, come ad esempio: l'Allianz Arena di Monaco di Baviera, il nuovo stadio di Lione o l'Allianz Riviera di Nizza. La nostra legge sugli stadi da questo punto di vista non si è dimostrata molto utile, visto che si è tramutata in una sorta di mantra fine a se stesso che si ripete all'infinito. L'Italia ha bisogno di regole certe e non di aiuti o agevolazioni fiscali o altro". 

    Non pensa che in Italia sia cosi difficile costruire dei nuovi stadi perché in realtà la volontà di alcuni è quella di specularci sopra? Mi spiego meglio: all'estero soprattutto in Inghilterra, si pensa a costruire o ristrutturare esclusivamente lo stadio, in Italia invece si pensa più al contorno con tutte le varie speculazioni immobiliari derivanti dalla costruzioni di grattacieli, centri commerciali e strade, per scoprire poi che questi progetti una volta realizzati non verrebbero neanche patrimonializzati a nome della squadra... 
    "Lo penso eccome e anzi ti dirò che il discorso è ancora più grave dato che la questione andrebbe spostata anche e soprattutto sul perché alcuni personaggi acquisiscono determinati club, visto che non lo fanno per passione o semplice investimento. Un esempio eclatante in questo periodo è il caso del Pisa che si trova in una situazione paradossale dove non si capisce neanche chi siano i veri proprietari. Casi come questi dimostrano che a farla da padrone non è la vera passione sportiva, e lo stadio in questo discorso diventa inevitabilmente uno degli elementi principali intorno al quale si muovono degli interessi di natura speculativa che poco hanno a che fare con i tifosi che agiscono con un'identità da tribù e percepiscono invece lo stadio come la propria casa; come ebbe a dire addirittura un sociologo di fama mondiale come l'inglese Desmond Morris". 

    A proposito di tribù del calcio che cosa ne pensa del tentativo tedesco – riuscito a quanto pare – di riproporre le vecchie terrazze inglesi, vale a dire dei settori dello stadio con posti in piedi a prezzi popolari, che possono contare quindi su una folla più numerosa e calda. In Italia sarebbe possibile? 
    "Penso che quella dei tedeschi sia stata una gran bella mossa, perché rende protagonisti i tifosi e allo stesso tempo li responsabilizza. In Italia tecnicamente sarebbe possibile e potrebbe anche essere un segnale di riappacificazione con i nostri tifosi. Potrebbe essere una buona idea responsabilizzare i tifosi italiani togliendo le barriere, quindi si, penso che i tedeschi abbiano fatto benissimo". 

    In tal senso secondo lei una possibile ricetta da seguire per il nostro calcio è quella del modello inglese oppure quella del modello tedesco con stadi mediamente più grandi a prezzi popolari? 
    "Personalmente io sono per uno stadio che viva la città e che sia vissuto dalla stessa, quindi al centro di questa, in tal senso quindi il modello tedesco con i suoi stadi decentrati e periferici all'interno di grandi parchi non incontra il mio favore. In Italia da questo punto di vista dovremmo puntare più che altro sul recupero di strutture storiche, come ad esempio quello di Modena, molti stadi dovrebbero essere recuperati con poco sforzo economico, e con un processo di responsabilizzazione nei confronti dei tifosi. Quindi io non credo che sia tanto un discorso legato al modello da seguire quanto piuttosto ad un cambio di mentalità che ci faccia capire che i nostri tifosi non sono dei delinquenti e non vanno trattati come tali con controlli assurdi ed esagerati, quanto piuttosto una preziosa risorsa senza la quale il calcio italiano rischia seriamente di morire e quindi va assolutamente valorizzata.Ma qui ci vuole un cambio anche a livello dirigenziale che sappia avere uno sguardo di lungo termine, con un management meno legato all'architetto, alla grande firma e soprattutto alla poltrona. Quando sento la nostra federazione che si vanta dei risultati ottenuti negli ultimi anni, sinceramente faccio fatica a capire, vista la situazione che stiamo vivendo, con la nazionale e le nostre squadre di club che non vanno mai troppo lontano nelle coppe e con un numero esorbitante di stranieri a discapito dei nostri giovani che invece non avrebbero nulla da invidiare, per non parlare poi appunto dei nostri stadi che in molti casi vengono letteralmente abbandonati, con tubi e bulloni in bella vista, tanto da ricordare in certi casi le atmosfere da stand di sagra paesana". 

    Un'ultima domanda, lei va ancora allo stadio? 
    "Sì, ci vado ancora perché si tratta di un'emozione unica. Un conto è vedere una partita in tv un altro invece andare allo stadio, una sorta di vero e proprio rito pagano all'interno di un tempio laico". 

    @Dragomironero
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