Facile dire adesso: "Meno male che se n'è andato!". Facile ricordare le "didate", gli infortuni (anche i più rocamboleschi), le insicurezze. Facile, insomma, tirare un sospiro di sollievo e chiedersi felicemente la porta alle spalle, salutando Nelson Dida con un "addio" e non con un "arrivederci". Ma le dieci stagioni rossonere del brasiliano non sono mica state tutte da buttare. Il suo curriculum, la voce "vittorie" recita: 1 scudetto, 2 Champions League, 2 Supercoppa d'Europa, 1 Supercoppa Italiana, 1 Coppa Italia, 1 Fifa World Cup. Se fosse stato davvero un pippone, come oggi molti sostengono, forse non avrebbe conquistato tutti quei trofei "da titolare": magari gli allenatori lo avrebbero tenuto in panchina, e quei successi li avrebbe collezionati "da dodicesimo". Invece no: in ognuno di quei trofei la firma di Nelson Dida c'è. A volte è una firma grande, enorme come in occasione della Champions league 2003; a volte il suo contributo non è stato altrettanto decisivo, come nella Champions League 2007.
Ora che se nìè andato e che il suo contratto da 4 milioni di euro netti a stagione si è esaurito, è venuto il tempo di leggere l'avventura di Dida al Milan e di chiedersi: è stato un grande portiere che ha volte è incappato in qualche giornata storta, oppure è stato un portiere mediocre che ha avuto qualche giornata felice? Optiamo per la prima opzione: qui siamo di fronte ad un campione che , dal 2002 al 2005, è stato assieme a Gigi Buffon il migliore al mondo. Poi ha avuto una flessione, è vero, ma la stoffa del numero uno si vedeva. Eccome. Non è un caso che Leonardo abbia puntato su di lui, passato alla cronaca sportiva come "il portiere muto".
La storia del mutismo di Dida con i giornali nasce nel 2006, quando lui scopre di avere un'amante sfogliando le pagine di un importante quotidiano. Vera o falsa che fosse, la notizia gli creò molti imbarazzi in famiglia e da quel momento dalla sua bocca non uscì nemmeno una parola. "Io parlo con i fatti" ha sempre dichiarato. A volte gli è andata bene. Altre meno. Ma di lui va ammirata la coerenza: nemmeno nel momento dell'addio al Milan ha concesso una deroga, zitto era stato prima e zitto è rimasto.