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Chivu: "Alla Roma vomitavo per lo stress. Mourinho? Mi ha insegnato coerenza e credibilità"
"VOMITAVO PER LO STRESS" - "Mi ero creato una corazza, ero io contro di me contro il mondo. La sfida è sempre stata quella di cercare soluzioni nonostante le difficoltà senza mai chiedere aiuto. Poi ho avuto bisogno di aiuto perché da solo non riuscivo a uscire da quella situazione, a quel punto ho chiesto aiuto a uno psicologo. C’era stata una situazione a Roma che mi ha fatto barcollare, un po’ per l’ingiustizia che io sapevo che mi era stata fatta. Nasce tutto dopo un’intervista fatta dopo che Capello era andato alla Juve. Mi chiedono se mi sarebbe piaciuto lavorare nel futuro con lui che mi aveva portato in Italia, io dissi che era un grande allenatore e che mi avrebbe fatto piacere. Il titolo il giorno dopo fu 'Chivu vuole la Juve'. Andavo in campo ed ero fischiato da 80mila persone. Mi lussai un alluce a Genova contro la Samp, ero fermo con le stampelle. Si giocava l’ultima prima della sosta natalizia contro il Chievo. Spalletti mi chiese se potevo giocare perché non aveva più difensori, gli dissi che per lui l’avrei fatto ma che avevo bisogno di infiltrazioni. E lì venni fischiato, ho pianto per l’ingiustizia. Poi in quel periodo facemmo undici vittorie di fila culminate col derby, a quel punto poi hanno dimenticato tutto. Ma io in quel periodo andavo dallo psicologo, a fine partita vomitavo per lo stress e per l’ansia, non riuscivo a uscirne e ho chiesto aiuto".
I GIOVANI DELL'INTER - "All'Inter portai Pio Esposito e Valentin Carboni ad allenarsi con i ragazzi due anni più grandi di loro. Bisogna metterli in difficoltà, farli uscire dalla propria zona di comfort. Per migliorare un talento bisogna alzare il suo livello di allenamento e farli faticare, anche se loro due erano talmente forti e motivati che non hanno mai fatto fatica. Quando avevo 21 anni, all’Ajax Koeman mi rese all’improvviso capitano della squadra, questa cosa mi responsabilizzò molto. Nel campionato primavera feci uguale con Pio Esposito. Non lo avvisai in settimana ma il giorno stesso. Ero preoccupato che per lui fosse un po’ troppo. Alla prima partita fece tripletta e capì che è fatto di un’altra pasta".
LA CHAMPIONS - "Vincere la Champions è stato bellissimo, ma rispetto alla finale a me rimane più in mente la semifinale contro il Barcellona. All’andata entrai a partita in corso, mentre al ritorno si infortunò Pandev nel riscaldamento, quindi Mourinho mi mise esterno alto a sinistra, ma con il compito di stare a uomo su Dani Alves. Giocai anche mediano dopo l’espulsione di Thiago Motta. Per raggiungere la finale difendemmo con le unghie e con i denti. Però devo ammettere che da allenatore ho vissuto una partita ancora altrettanto emozionale, la semifinale scudetto del campionato primavera che poi abbiamo vinto. Alla fine del primo tempo stavamo perdendo 3-0, siamo riusciti a pareggiare 3-3 negli ultimi dieci minuti della partita. Dato che in campionato abbiamo totalizzato più punti di loro. Il giorno dopo li ho ringraziati: ‘Ho vinto campionati e Champions League ma con questo risultato mi avete profondamente emozionato. Ve ne sono grato'".
L'INFORTUNIO ALLA TESTA - "Quando ero all’Inter mi sono infortunato gravemente alla testa. Ho avuto forte paura di dover smettere di giocare. Appena è successo avevo tutta la parte sinistra del corpo paralizzata ed ero anche consapevole che l’intervento era molto complicato, oltre a poterci essere delle complicazioni. Mi hanno dovuto aprire la teca cranica e hanno rimosso dei pezzi di osso che erano entrati nel cervello, per poi ricostruire tutto. Stare in terapia intensiva non è per nulla semplice. Sei sottoposto continuamente ad esami, vieni svegliato ogni ora e ti riempiono di domande, oltre a sentire cosa succede agli altri pazienti. Non è facile da gestire, ma ero contento di essere vivo. Prima di rientrare in campo ho dovuto fare un secondo intervento per chiudere i fori al cranio provocati dall’operazione. Con quelli non avrei avuto l’idoneità per tornare a giocare. Inizialmente ho anche avuto dei momenti di vuoto, dovuti ai farmaci che prendevo. Sono passato dalla paura della morte a quella di non poter più essere la persona di prima. Tutt’ora ho timore per il mio futuro. Non è stato semplice tornare in campo. Quando ho giocato contro il Verona per esempio, Pazzini che è stato un compagno ed è un amico, per saltare, apriva spesso le ali. Io chiamavo Marco, Materazzi, che mi diceva: 'Tu stai al centro, sui rinvii larghi vado io a saltare, fratello'. Ci sono stati anche avversari che chiedevano il cross su di me sapendo che avevo paura di saltare. Con alcuni di loro mi sono preso la mia rivincita con qualche pestone. Fa parte del gioco".
IL RAPPORTO CON MOURINHO - "Mourinho a Bergamo mi disse: ’Corri come mia nonna’. In realtà da lui ho appreso come coerenza e credibilità siano fondamentali per un allenatore. Ho vinto un campionato primavera con l’Inter e ho fatto tutta la trafila dall’under 14, prima di tutto volevo capire se mi piacesse questo mestiere, e la risposta è assolutamente sì. Ci vuole una passione immensa. Dopo la finale di Coppa Italia nel 2010 mi ha convocato nel suo ufficio per dirmi che non avrei giocato l’ultima partita di campionato contro il Siena, così che potessi prepararmi mentalmente e atleticamente alla finale contro il Bayern Monaco ed un avversario come Robben. L’importante è mantenere la parola, come fece lui, se no poi iniziano i casini, soprattutto nelle grandi squadre dove ci sono giocatori di grande personalità. Invece, una volta a Bergamo stavamo perdendo 2-0 e mi ha sostituito al 25’. Quella partita giocavo ala sinistra, un ruolo che non facevo da quando avevo 14 anni. Perdemmo 3-1 e finita la partita ci fu una riunione dove ci criticò individualmente uno ad uno. Mi disse che sua nonna avrebbe giocato meglio di me. Io non capivo, nonostante fossi fuori ruolo avevo dato il massimo per la squadra. Finita la riunione mi disse che la partita dopo avrei giocato difensore centrale, il mio ruolo preferito. Rimasi molto sorpreso. Il valore aggiunto di José è proprio la sensibilità nel capire quale sia la scelta giusta per il bene del gruppo".