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  • Chivu a CM: "Messi-CR7? Dopo Ronaldo un abisso. Gasperini-Inter poteva solo andare male. Vi racconto Esposito, Fabbian e Ibra dirigente"

    Chivu a CM: "Messi-CR7? Dopo Ronaldo un abisso. Gasperini-Inter poteva solo andare male. Vi racconto Esposito, Fabbian e Ibra dirigente"

    • Pasquale Guarro
    “Per imparare a capire i giovani è stato necessario lavorare con loro, ritengo di essere stato fortunato. La definiscono generazione distratta, poi entri nei loro cuori e capisci che sono uno spettacolo”. Cristian Chivu disintegra tutti i luoghi comuni sulla nuova generazione raccontandoci la sua esperienza sul campo, partendo dai suoi inizi di giovane calciatore. 

    Hai lavorato tanto con i giovani, ma la tua che infanzia è stata?
    “Ho vissuto sotto la dittatura comunista fino a 9 anni, non avevamo modo di scegliere ma si stava tanto insieme e questo ci rendeva felici. Il divertimento dipendeva dalla nostra capacità creativa e in fondo questo ci dava uno scopo. Cose che oggi sono sparite, ma avevamo un’autonomia diversa, che ti consentiva di svilupparti caratterialmente come individuo”.

    Come ti sei avvicinato al calcio?
    “Vivevo il campo con mio padre, calciatore e allenatore. Mi ha portato in qualche ritiro estivo. Ero piccolo ma mi è servito per imparare a stare in un gruppo”. 

    Le prime esperienze vere?
    “A 14 anni inizio a giocare con una società professionistica in Serie B rumena e a 16 anni esordisco in prima squadra”. 

    Cosa ricordi?
    “Fu l’anno della promozione e l’anno successivo a 16 anni e mezzo giocavo già in Serie A, ci sono rimasto per due anni e poi mi sono trasferito al Craiova. Un anno dopo è arrivato l’Ajax”.

    Sempre centrale o terzino?
    “Bomber, fino a 14 anni, capocannoniere della categoria”.

    È poi cosa diamine è successo?
    “Mi hanno lentamente arretrato, prima trequartista, poi mediano, ruolo che sentivo mio. A due o da solo come play, quello era il mio ruolo. Poi un giorno si fa male il terzino sinistro e sai com’è finita la storia”.

    Potevi dirgli di non sentirtela…
    “Per me è sempre stato uno stimolo riuscire ad esprimermi in diversi ruolo. Era un vanto”. 

    Lo ritieni un vantaggio?
    “Oggi vogliono costruire identità troppo in fretta”. 

    Lo trovi sbagliato?
    “Flessibilità e conoscenze nella parte evolutiva di un calciatore aggiungono qualcosina in più al bagaglio personale delle esperienze. Convincere un ragazzo all’adattabilità gli consente di crescere prima e meglio”.

    Non è per tutti.
    “È per un individuo in piena evoluzione, ricettivo e senza pregiudizi. Uscire dalla propria zona di comfort per accettare responsabilità ulteriori”.

    È vero che questi giovani sono distratti?
    “Hanno accesso a molta informazione e bisogna, se non ci avessi lavorato avrei potuto avere anche io pregiudizi ma è necessario ascoltarli”.

    Questa qualità prima non era richiesta?
    “Ai miei tempi gli allenatori impartivano ordini, quello che dicevano era legge. Adesso è diverso bisogna conquistarli interagendo e se ci riesci capisci che sono meravigliosi”.

    Li invidia un po’?
    “Io sono cresciuto a testa bassa, a volte  pensavo di poter dire la mia ma non ne avevo il coraggio. Questi invece te la dicono, la pensano e te la dicono. Ed è giusto così”.

    Quali sono le insidie che un allenatore può trovare in un settore giovanile?
    “La prima è quella di trovare qualcuno che ordini come priorità l’ambizione al successo, lasciando in secondo piano lo sviluppo dei calciatori. Per fortuna all’Inter non è mai stato così”

    Di fronte a uno specchio, come deve guardarsi un allenatore delle giovanili?
    “Come un educatore. I ragazzi hanno bisogno di questo tipo di supporto perché sono pochi quelli che arrivano ad altissimo livello e quindi non può mancare grande senso di responsabilità”. 

    Mentre dal punto di vista tecnico?
    “È necessario avere rapide letture in merito alle prospettive di un ragazzo”.

    Mi sembra complesso…
    “Anche pericoloso. Non esiste un’età per stabilire se è ancora presto o se ormai è troppo tardi. E te lo dico io che a 16 anni giocavo già in Serie A con i grandi, ma questo non significa che avessi più talento di qualche altro”. 

    Allora perché eri avanti rispetto agli altri?
    “Ho avuto la capacità di adattarmi in fretta alle richieste di una prima squadra”. 

    A proposito di rapide letture, ci dice cosa ha visto in Fabbian quando nessuno lo vedeva?
    “Giovanni è uno tosto. Spesso si commette l’errore di sottovalutare il lato mentale, ma quello è l’aspetto che ti porta al salto. Una volta mi ha mandato a quel paese per una sostituzione al 60’. Avevo raggiunto il mio obiettivo, volevo anche calciatori così, arrabbiati, che avessero il coraggio di rispondere e argomentare”.

    Pio Esposito è un altro. 
    “Da 2005 l’ho fatto giocare in Youth League con i 2003. In quello spogliatoio avevamo un problema di leadership, i più grandi, che erano capitani o vice, si allenavano con la prima squadra e mancavano un po’ nel quotidiano”. 

    Cosa si fa in questi casi?
    “Pio era sotto età ma molto rispettato perché ha sempre mostrato enorme scrupolosità, un’attenzione che gli ha trasferito la sua famiglia, conoscendo bene i suoi fratelli e suo padre. Gli diedi la fascia e lui mi rispose con una tripletta alla prima partita”. 

    Un bel grazie…
    “Abbiamo capito che regge le pressioni”.

    Come sta cambiando il calcio?
    “Partiamo dalla base: tempo, spazio, duelli, velocità dí pensiero, azione, reazione, equilibrio. Tutto questo non cambierà mai. Prima le richieste dal punto di vista tattico e delle conoscenze del gioco non erano così specifiche come invece lo sono adesso. Oggi ogni allenatore ha una visione e cerca di dare un’identità”. 

    Allora cosa c’è di diverso?
    “Si è passati da un calcio posizionale all’incessante mobilità intorno al portatore di palla, continui interscambi di pozione ma con la costante ricerca di equilibrio da garantire all’interno del sistema squadra”. 

    Come si è arrivati a questa evoluzione?
    “Adattamento dovuto alle contromisure che di volta in volta un allenatore riesce a trovare. È diventato un calcio privo di posizionamenti statici, dove la chiave è quella di riuscire a trovare un equilibrio dinamico”. 

    Quale calcio affascina di più, quello attuale o quello di qualche anno fa?
    “Oggi il calciatore è abituato a fare più cose, a saper giocare fuori posizione o fuori ruolo, aspetto che reputo vantaggioso perché eleva le sue conoscenze a uno step più ampio. Però c’è anche da dire che la Spagna ha vinto l’ultimo Europeo con un calcio posizionale e la ricerca dell’uomo tra le linee per sfruttare l’uomo in ampiezza nell’ uno contro uno”. 

    E quindi?
    “Quindi il calcio non segue mai una teoria. Si crea un modello di gioco e un’identità, ma sempre in base alle caratteristiche dei giocatori che un allenatore ha a disposizione. Con giocatori abili si può implementare tutto, con quelli meno abili bisogna colmare i limiti tecnici con un lavoro di codifiche in gradi di offrire quella certezza dalla quale scaturisce poi serenità e fiducia nella giocata, consentendo al calciatore di crescere”.

    Da quale progetto vorresti ripartire?
    “Questa domanda è adatta a un allenatore affermato, che ha avuto esperienze diverse rispetto alle mie e che ha una possibilità di scelta che io invece non posso pretendere di avere. Io adesso voglio solo allenare. Vorrei ripartire da un gruppo con cui condividere le mie idee, l’unica cosa che non mi piace è la mediocrità”.

    Credi nelle seconde squadre
    “Sì, ti consentono di osservare i ragazzi su cui vuoi puntare e di farli giocare con continuità. Bisogna adattarsi a una intensità diversa e a un altro tipo di duelli”.

    Se una seconda squadra retrocede, meglio mandare i calciatori in D o riportarli in Primavera?
    “Per me una volta passati con i grandi non devono più tornare in Primavera, dove ti senti protetto e coccolato”.

    Un allenatore che lavora tanto con i giovani è Gasperini, come mai non funzionò nella sua Inter?
    “Era una squadra matura e chiunque avrebbe trovato difficoltà. Arrivava nel post Triplete, a livello motivazionale sarebbe stata necessaria un’impresa perché poi entra in gioco anche la presunzione. In certi momenti devi anche capire come entrare all’interno di uno spogliatoio”. 

    Quindi fu colpa dei suoi modi?
    “Non darei colpe né a Gasperini né ai calciatori. Era un tecnico già evoluto, si sapeva come giocava, andando a prendere riferimenti a tutto campo. Ma quella squadra era pronta a fare questo?”.

    I fatti hanno detto di no.
    “Era anche un gruppo un po’ vecchio. Gasperini rimane un grande allenatore, apprezzato anche in quello spogliatoio perché aveva le idee giuste. Con lui ho fatto una preparazione estiva che ricordo ancora, erano anni e anni che non stavo così bene. Ci furono tanti cambiamenti e forse quell’esperienza ha migliorato anche lui”.

    Ha guardato il derby di Supercoppa?
    “E come al solito è sufficiente una partita persa per scatenare rivolte”. 

    È sempre il derby
    “L’Inter lo ha giocato bene, qualcosa è cambiato quando il Milan ha accorciato le distanze e quando è entrato Leao, ma l’Inter ha giocato la sua partita nonostante assenze importanti”. 

    Se la sente di terminare l’intervista con risposte secche?
    “Proviamo”. 

    l compagno di squadra più forte di sempre?
    “Ibrahimovic”. 

    L’avversario più forte?
    “Ronaldo il fenomeno, dopo solo l’abisso. Non c’entrano niente neanche Messi e Ronaldo”. 

    Il miglior calciatore di punizioni?
    “Mihajlovic, terminavamo sessioni di allenamento con dieci su dieci. Incredibile”. 

    I rapporti più belli costruiti durante la carriera.
    “Con Lobont, Materazzi, Stakovic, Sneijder e Ibrahimovic”. 

    A proposito di Ibra, come lo vedi da dirigente?
    “È all’inizio, ha una strada lunghissima davanti ma ha forza e personalità per percorrerla se gli daranno il tempo di farlo”.

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    Sportivo99
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    Che piacere quando intervistano un grande ex giocatore pure molto preparato.

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