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    Cerci e il fascino amaro degli incompiuti

    Cerci e il fascino amaro degli incompiuti

    • Marco Bernardini
    Sono quelli che quando decidono di essere presenti in campo, sia con il fisico e sia con la mente, non puoi fare a meno di adorarli. Trasmettono, volando come farfalle, un profondo senso di leggerezza che riempie il cuore del tifoso di sana e impagabile felicità. Il pallone, per loro, non ha misteri e lo rendono schiavo per farne ciò che vogliono. Illuminano di immenso le verdi praterie del pianeta calcio.
     
    Sono quelli che pur trovandosi in campo con il corpo, hanno stabilito di estraniarsi dal mondo. Non puoi fare a meno di detestarli perché la loro “assenza” pesa come un macigno e non riesci a fartene una ragione. Sono lì, ben visibili allo sguardo, eppure non ci sono. Il cuore del tifoso si fa piccolo per la rabbia e stenta a capire come abbia fatto l’uomo dei miracoli a farsi nano.
    I primi e i secondi sono le stesse persone, i medesimi giocatori. Sono gli incompiuti.

    Cerci è l’ultimo che mi viene in mente, rappresentante di una bizzarra tribù che dovrebbe soggiornare perennemente in paradiso in virtù delle immense qualità che il Dio Eupalla di Brera gli ha dato in sorte e che invece spesso oltrepassa addirittura le porte dell’inferno. Il giocatore rossonero è tornato nuovamente a essere un oggetto del mercato malgrado la sua sistemazione al Milan che, per sua stessa ammissione, avrebbe dovuto essere quella definitiva. Invece no, deluso e deludente eccolo di nuovo rivestire i panni del vagabondo con quel viso sempre imbronciato di chi è convinto di aver subito ogni tipo di torto.

    o stesso volto sovrapponibile a quello di Cassano al cui percorso professionale quello di Cerci sembra viaggiare in perfetto parallelo. Anche rispetto ai dettagli, se stiamo a vedere. Il periodo d’oro di questi due indiscutibili talenti coincide infatti con la presenza al loro fianco di altrettanti allenatori ben definiti e definibili come “padri” per gli scugnizzi in questione. Eugenio Fascetti per Cassano, Giampiero Ventura per Cerci. Con loro e soltanto con loro gli “incompiuti” ebbero a vivere momenti di reale ed esaltante “compiutezza”. Evidentemente il lavoro di questi due grandi tecnici, sempre troppo sottovalutati dallo show business del pallone, plasmava prima le menti dei ragazzi e soltanto dopo i loro muscoli. Ma, come amava dire il buon Gigi Radice: “Se avessi voluto fare lo psicologo non avrei fatto l’allenatore”. E la maggioranza dei tecnici la pensa così.

    S’allunga, in questo modo, la lista degli incompiuti. E, senza andare troppo in là negli anni, Cerci e Cassano possono tranquillamente essere piazzati al seguito di altri famosi e soliti noti. Morfeo, per esempio, che certa critica indicava come superiore allo stesso Pirlo. Pato, giovane promessa non mantenuta e ora ricordato più come l’ex fidanzato di Barbara Berlusconi che non come fuoriclasse rossonero. Nick Zanone che, ai tempi del Vicenza, era più forte di Paolo Rossi ma perseguitato da un “male oscuro dentro” che non riuscì mai a domare. Infine Alvaro Recoba che, per un mio amico interista, non era un giocatore ma una vera e propria ideologia. Forse era davvero così, ma ogni tipo di ideologia se alla fine non si concretizza in qualche cosa di positivamente pratico è destinata a sgretolarsi come un castello di sabbia. Resta il misterioso fascino dell’imperfezione, è vero. Ma ha un retrogusto amaro.
     

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