Ce l'ho con... Milan, un silenzio che sa di accettazione. Maldini ha ragione, Pioli è solo
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Un silenzio che sa tanto di rassegnazione. O forse - e sarebbe pure peggio - di accettazione. Dopo una sconfitta le cui proporzioni non rendono merito all’evidente predominio espresso dall’Atalanta sul piano del gioco e che in parte celano i tantissimi demeriti del Milan, la dirigenza rossonera ha coerentemente portato avanti la scelta di non commentare l’ennesimo risultato negativo di questa inizio di stagione. Lasciando che fosse Stefano Pioli, sempre più nelle vesti di parafulmine ed unico responsabile, a metterci la faccia e provare a giustificare - peraltro con argomentazioni rivedibili - un ko che è pesante tanto nella forma quanto nella sostanza.
FUORI DA TUTTO - Nemmeno a metà dicembre, la formazione rossonera si ritrova a distanza siderale (considerati poi i valori espressi dalle rivali) dalla vetta della classifica e appesa alla flebilissima speranza di proseguire il cammino in Champions League, vincendo a Newcastle e sperando che il Dortmund già qualificato faccia altrettanto contro il PSG. Tutto questo dopo aver investito qualcosa come 120 milioni di euro sul mercato estivo - finanziato in gran parte dalla cessione di Tonali - e rivoluzionato l’organico in base alle desiderata dell’allenatore. Da Casa Milan verrà certamente ribadita la linea secondo la quale il primo obiettivo resti la qualificazione alla Champions allargata della prossima stagione attraverso uno dei primi quattro posti in campionato - del resto Pioli inizia a sottolinearlo sempre con maggiore insistenza nelle sue interviste, pur discostandosi dall’idea suggerita dal presidente Scaroni che basti così - ma siamo sempre nel campo dei sussurri e dei messaggi fatti filtrare da dietro le quinte, perché pubblicamente e davanti alle telecamere nessuno (a parte Scaroni, appunto) pare abbia il desiderio di ribadirlo.
PESANTE EREDITA' - E’ bene rammentare che l’estate passata non abbia portato in dote solamente una rivoluzione sotto l’aspetto tecnico e dei calciatori, ma anche sul fronte dirigenziale. Giorgio Furlani ha raccolto in un colpo solo l’eredità di Ivan Gazidis e di Paolo Maldini assumendo la piena responsabilità di rappresentare la proprietà di Redbird sia sul fronte finanziario-manageriale che sotto quello sportivo, pur facendosi affiancare dalla figura dell’ex capo dell’area scouting Geoffrey Moncada per operare sul mercato. Bene, dopo nessuna delle sei sconfitte incassate sin qui dal Milan tra campionato e Champions - alcune difficili da digerire come l’1-5 nel derby, il ko casalingo con l’Udinese o il tracollo contro il Borussia Dortmund - si è levata una voce dal ventre di San Siro o dagli uffici di via Aldo Rossi. Fiducia ribadita tutte le volte all’allenatore e al suo staff, fatta filtrare attraverso note ufficiose che danno il senso di come la lettura di Paolo Maldini sulla solitudine di Pioli, nella recente intervista bomba a Repubblica, non sia un’ipotesi campata per aria. Già, quel Maldini che nel bene o nel male non si è mai sottratto al compito di metterci la faccia per il ruolo di direttore tecnico che rivestiva (e per quello che rappresenta in quanto Maldini).
OBIETTIVI MINIMI - Paradossalmente il tecnico rossonero è solo anche e proprio nella scelta di essere mantenuto al suo posto, a dispetto di obiettivi che sfumano l’uno dopo l’altro, di prestazioni sempre più uguali l’una all’altra, di una catena di infortuni che continua a non essere debitamente spiegata. Confermato perché, sempre informalmente, viene fatta trapelare la perplessità circa i nomi dei possibili sostituti che potrebbero subentrare per provare a correggere la rotta di una squadra alla deriva. E probabilmente - ma in questo caso, comprensibilmente, nessuno si azzarda a sostenerlo - perché esiste l’intima convinzione che con questa rosa e con avversari alle spalle alle prese coi loro problemi, l’obiettivo minimo (o massimo, ascoltando certe dichiarazioni) del quarto posto sia ampiamente alla portata. Ma qui deduciamo ed entriamo nel campo della nostra immaginazione. Pensieri, riflessioni, ben lontani da quella grandeur alla quale certe società dovrebbero essere abituate. Accontentarsi, soprattutto dopo 120 milioni spesi sul mercato, non può essere da Milan. Si preferisce il silenzio, che sa di rassegnazione e forse di accettazione.
FUORI DA TUTTO - Nemmeno a metà dicembre, la formazione rossonera si ritrova a distanza siderale (considerati poi i valori espressi dalle rivali) dalla vetta della classifica e appesa alla flebilissima speranza di proseguire il cammino in Champions League, vincendo a Newcastle e sperando che il Dortmund già qualificato faccia altrettanto contro il PSG. Tutto questo dopo aver investito qualcosa come 120 milioni di euro sul mercato estivo - finanziato in gran parte dalla cessione di Tonali - e rivoluzionato l’organico in base alle desiderata dell’allenatore. Da Casa Milan verrà certamente ribadita la linea secondo la quale il primo obiettivo resti la qualificazione alla Champions allargata della prossima stagione attraverso uno dei primi quattro posti in campionato - del resto Pioli inizia a sottolinearlo sempre con maggiore insistenza nelle sue interviste, pur discostandosi dall’idea suggerita dal presidente Scaroni che basti così - ma siamo sempre nel campo dei sussurri e dei messaggi fatti filtrare da dietro le quinte, perché pubblicamente e davanti alle telecamere nessuno (a parte Scaroni, appunto) pare abbia il desiderio di ribadirlo.
PESANTE EREDITA' - E’ bene rammentare che l’estate passata non abbia portato in dote solamente una rivoluzione sotto l’aspetto tecnico e dei calciatori, ma anche sul fronte dirigenziale. Giorgio Furlani ha raccolto in un colpo solo l’eredità di Ivan Gazidis e di Paolo Maldini assumendo la piena responsabilità di rappresentare la proprietà di Redbird sia sul fronte finanziario-manageriale che sotto quello sportivo, pur facendosi affiancare dalla figura dell’ex capo dell’area scouting Geoffrey Moncada per operare sul mercato. Bene, dopo nessuna delle sei sconfitte incassate sin qui dal Milan tra campionato e Champions - alcune difficili da digerire come l’1-5 nel derby, il ko casalingo con l’Udinese o il tracollo contro il Borussia Dortmund - si è levata una voce dal ventre di San Siro o dagli uffici di via Aldo Rossi. Fiducia ribadita tutte le volte all’allenatore e al suo staff, fatta filtrare attraverso note ufficiose che danno il senso di come la lettura di Paolo Maldini sulla solitudine di Pioli, nella recente intervista bomba a Repubblica, non sia un’ipotesi campata per aria. Già, quel Maldini che nel bene o nel male non si è mai sottratto al compito di metterci la faccia per il ruolo di direttore tecnico che rivestiva (e per quello che rappresenta in quanto Maldini).
OBIETTIVI MINIMI - Paradossalmente il tecnico rossonero è solo anche e proprio nella scelta di essere mantenuto al suo posto, a dispetto di obiettivi che sfumano l’uno dopo l’altro, di prestazioni sempre più uguali l’una all’altra, di una catena di infortuni che continua a non essere debitamente spiegata. Confermato perché, sempre informalmente, viene fatta trapelare la perplessità circa i nomi dei possibili sostituti che potrebbero subentrare per provare a correggere la rotta di una squadra alla deriva. E probabilmente - ma in questo caso, comprensibilmente, nessuno si azzarda a sostenerlo - perché esiste l’intima convinzione che con questa rosa e con avversari alle spalle alle prese coi loro problemi, l’obiettivo minimo (o massimo, ascoltando certe dichiarazioni) del quarto posto sia ampiamente alla portata. Ma qui deduciamo ed entriamo nel campo della nostra immaginazione. Pensieri, riflessioni, ben lontani da quella grandeur alla quale certe società dovrebbero essere abituate. Accontentarsi, soprattutto dopo 120 milioni spesi sul mercato, non può essere da Milan. Si preferisce il silenzio, che sa di rassegnazione e forse di accettazione.