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Ce l'ho con... Allegri cita Antetokounmpo e contraddice il suo credo: vincere non era l'unica cosa che contava?
Difesa e contrattacco. Come nel suo stile sul campo, messo pesantemente in discussione visto l'andamento recente della Juventus, Massimiliano Allegri ha prima badato a parare i colpi e poi è ripartito a tutta velocità in contropiede per rintuzzare le molte critiche che gli sono piovute addosso nelle ultime ore. La disonorevole sconfitta per mano dell'Inter nella semifinale di ritorno di Champions League, arrivata al termine di una prestazione contraddistinta da una sconcertante arrendevolezza, e l'agitato post-partita da parte dell'allenatore bianconero - caratterizzato da urla ed insulti all'indirizzo dei dirigenti nerazzurri e dei suoi calciatori negli spogliatoi - è ancora fresca. Eppure il tecnico livornese ha ribattuto colpo su colpo, prendendosela coi giornalisti presenti alla conferenza stampa della vigilia della trasferta di Bologna, che segna un'altra tappa significativa di un finale di stagione in cui la Juve mantiene la possibilità di terminare il campionato entro le prime quattro posizioni e conquistare l'accesso alla finale di Europa League.
IL PARAGONE CON GIANNIS - Per Allegri fare al momento un bilancio sul comportamento suo e della squadra dopo quasi due anni dal giorno del ritorno in panchina è impossibile, proprio perché di obiettivi alla portata ce ne sono ancora e con essi molti dei giudizi emessi sino a questo momento potrebbero ribaltati. Ha scelto un paragone molto fresco, le frasi del campione NBA Giannis Antetokounmpo dopo la sorprendente eliminazione dai playoff dei suoi Milwaukee Bucks da teste di serie numero uno del tabellone, come manifesto della sua difesa d'ufficio: non si può vincere tutti gli anni e non si può consolidare un fallimento non riuscirci, nemmeno per più di una stagione. E' vero, nello sport non si è in pace con se stessi soltanto quando si è consapevoli di non aver compiuto ogni tipo di sforzo per raggiungere determinati traguardi. Poi però c'è sempre il giudizio del campo e, fintanto che non si scade negli attacchi gratuiti e sulle persone, a tutti i livelli bisogna accettare ogni critica, anche quella più feroce. E' la legge della vita e non risparmia proprio nessuno.
LA LEGGE DELLO SPORT (E DELLA VITA) - Vale per Giannis e vale anche per Allegri. Belle parole, per carità, ma intrise di retorica. Per essere pienamente obiettive le valutazioni sull'operato di un atleta o di una squadra devono ovviamente tenere conto delle premesse di partenza e dei mezzi a disposizione per provare a conseguire determinati risultati. E, proseguendo in questo parallelismo tra basket e calcio, come si fa a dire che tanto i Bucks quanto la Juve non disponessero delle "armi" necessarie per competere a pieno titolo per la conquista di un trofeo? Da una parte un gruppo pieno di stelle e capace di dominare la stagione regolare in NBA, dall'altra la rosa più costosa dell'intera Serie A, un allenatore e un parco calciatori di tutto rispetto. La differenza è soltanto una: per Milwaukee non c'è più tempo per porre rimedio, limitatamente a questa stagione, per i bianconeri ancora no. Ma non cambia la sostanza e non dovrebbe cambiare l'approccio di fronte alla tanto temuta parola "fallimento".
IL PARADOSSO - Fa ancora più specie che, in assenza di risultati, a ribellarsi a questo ragionamento sia un cultore, un profeta del "risultatismo", come Max Allegri. Uno per il quale giocare bene non serve a nulla se non vince, uno per il quale andare vicino alla vittoria vale ancora meno e che nella memoria collettiva restino impressi solo i nomi dei trionfatori. Limitandoci all'analisi del quasi biennio della sua gestione-bis, la Juve di Allegri gioca molto male e non vince nemmeno. Ha valorizzato pochissimi giocatori in relazione alla profondità della rosa con la sua concezione di fare calcio e le doverose attenuanti circa la confusione a livello societario che ha dovuto affrontare, per non parlare di quello che sta accadendo da novembre ad oggi, giustificano solo in parte un percorso (non solo il probabilissimo approdo) altamente insoddisfacente. Parafrasando l'allenatore della Juve, iniziano i 35 giorni della verità: senza Champions e senza Europa League, come si potrebbe non parlare di fallimento?
IL PARAGONE CON GIANNIS - Per Allegri fare al momento un bilancio sul comportamento suo e della squadra dopo quasi due anni dal giorno del ritorno in panchina è impossibile, proprio perché di obiettivi alla portata ce ne sono ancora e con essi molti dei giudizi emessi sino a questo momento potrebbero ribaltati. Ha scelto un paragone molto fresco, le frasi del campione NBA Giannis Antetokounmpo dopo la sorprendente eliminazione dai playoff dei suoi Milwaukee Bucks da teste di serie numero uno del tabellone, come manifesto della sua difesa d'ufficio: non si può vincere tutti gli anni e non si può consolidare un fallimento non riuscirci, nemmeno per più di una stagione. E' vero, nello sport non si è in pace con se stessi soltanto quando si è consapevoli di non aver compiuto ogni tipo di sforzo per raggiungere determinati traguardi. Poi però c'è sempre il giudizio del campo e, fintanto che non si scade negli attacchi gratuiti e sulle persone, a tutti i livelli bisogna accettare ogni critica, anche quella più feroce. E' la legge della vita e non risparmia proprio nessuno.
LA LEGGE DELLO SPORT (E DELLA VITA) - Vale per Giannis e vale anche per Allegri. Belle parole, per carità, ma intrise di retorica. Per essere pienamente obiettive le valutazioni sull'operato di un atleta o di una squadra devono ovviamente tenere conto delle premesse di partenza e dei mezzi a disposizione per provare a conseguire determinati risultati. E, proseguendo in questo parallelismo tra basket e calcio, come si fa a dire che tanto i Bucks quanto la Juve non disponessero delle "armi" necessarie per competere a pieno titolo per la conquista di un trofeo? Da una parte un gruppo pieno di stelle e capace di dominare la stagione regolare in NBA, dall'altra la rosa più costosa dell'intera Serie A, un allenatore e un parco calciatori di tutto rispetto. La differenza è soltanto una: per Milwaukee non c'è più tempo per porre rimedio, limitatamente a questa stagione, per i bianconeri ancora no. Ma non cambia la sostanza e non dovrebbe cambiare l'approccio di fronte alla tanto temuta parola "fallimento".
IL PARADOSSO - Fa ancora più specie che, in assenza di risultati, a ribellarsi a questo ragionamento sia un cultore, un profeta del "risultatismo", come Max Allegri. Uno per il quale giocare bene non serve a nulla se non vince, uno per il quale andare vicino alla vittoria vale ancora meno e che nella memoria collettiva restino impressi solo i nomi dei trionfatori. Limitandoci all'analisi del quasi biennio della sua gestione-bis, la Juve di Allegri gioca molto male e non vince nemmeno. Ha valorizzato pochissimi giocatori in relazione alla profondità della rosa con la sua concezione di fare calcio e le doverose attenuanti circa la confusione a livello societario che ha dovuto affrontare, per non parlare di quello che sta accadendo da novembre ad oggi, giustificano solo in parte un percorso (non solo il probabilissimo approdo) altamente insoddisfacente. Parafrasando l'allenatore della Juve, iniziano i 35 giorni della verità: senza Champions e senza Europa League, come si potrebbe non parlare di fallimento?