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Carpimania: l'importanza di chiamarsi Carpi
Il copione di ieri è stato il medesimo delle ultime gare: ritmo altissimo, ripartenze veloci, guizzo propositivo dei soliti noti, un portiere gigantesco a difendere i pali, ormai troppo sacri per essere violati da chicchessia. Ieri, però, il condimento era più sciapo, mancava un pizzico di cinismo, oppure, semplicemente, la squadra era stremata da una settimana pesantissima, che l’ha vista in campo tre volte e nella quale sono stati conquistati la bellezza di sette punti; altro che media salvezza, il Carpi avrebbe potuto anelare a ben altri lidi se il ritmo si fosse attestato un pizzico più costante nel corso della stagione. Alla faccia del mercato di riparazione “da serie B”, come molti commentatori si affrettavano a dire, all’indomani dell’ingresso in società del DS Romairone. Avvantaggiati dagli episodi? Può anche esser vero, ma sul piatto della bilancia ci devono stare le sviste subite dal Carpi nel corso della stagione, altrimenti il conto sarebbe fallace.
Onore all’Empoli, comunque, che ha dimostrato di non accontentarsi di una salvezza aritmetica, combattendo forte (anzi, più forte) anche in inferiorità numerica. “Purtroppo” difronte a loro erano schierati undici pazzi, assetati di gloria e senza nulla da perdere. Sì, senza nulla da perdere, neppure la serie A, perché l’importanza di chiamarsi Carpi è proprio questa: il non dover subire pressioni continue e costanti, perché la salvezza non è un obbligo o un imperativo categorico di kantiana memoria, piuttosto una fiaba incantevole a prova di pizzicotti, però; e chissà, magari domani saremo tutti sudati, nel tentativo di svegliarci da un sogno troppo vero per essere interrotto, oppure no. L’importanza di chiamarsi Carpi sarà sempre la stessa.