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    Caro Renzi, il calcio italiano non è morto, anzi. Le finali, pur perse, raccontano di un buon presente e di un futuro promettente

    Caro Renzi, il calcio italiano non è morto, anzi. Le finali, pur perse, raccontano di un buon presente e di un futuro promettente

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan

    Questo è un articolo di risposta a quanto pubblicato da Matteo Renzi sul Riformista, testata di cui è direttore e che riportiamo integralmente.

    "Il calcio italiano è morto e non lo sa. Di chi è la colpa? Anche della politica.

    Luglio era il mese in cui i tifosi sognavano con il calciomercato. E lo scudetto d’estate che i giornali assegnavano alla società più attive era argomento su cui appassionarsi sotto l’ombrellone. L’Italia era l’eldorado dei giocatori più forti. I nostri figli non credono a questa verità: quando raccontiamo di Zico o Maradona ci guardano come se venissimo da un remoto pianeta, non solo dal secolo scorso. Eppure era davvero così. Se eri un campione dovevi giocare in serie A. Oggi è tutto finito e siamo diventati un vivaio per i campionati più forti. Quando uno è al top lascia l’Italia. E verrebbe voglia di chiedersi: ma perché? Già, perché? Non c’è una sola ragione. Il mondo cambia e la globalizzazione del pallone ha scombussolato tutto. Ma la verità è che dopo l’innovazione degli anni Ottanta il governo del calcio italiano è stato rigidamente conservatore. Si sono cristallizzate le posizioni di potere e non ci siamo accorti che il mondo fuori si stava trasformando. Non si sono fatti investimenti sugli impianti, a cominciare dai centri sportivi non solo dagli stadi. Si sono sottovalutati i percorsi per i giovani talenti ignorando la funzione educativa e pedagogica dello sport. Si è scelto di non giocare per bene la partita dei diritti televisivi che costituiscono oggi la metà delle revenues di una squadra di Serie A. Di chi è la colpa? Come sempre di tutti e di nessuno. I tifosi vanno dove li porta il cuore, calciatori manager e presidenti – comprensibilmente – seguono il portafoglio. Ma anche la politica ha le sue colpe. Perché anziché favorire la realizzazione degli stadi il Parlamento ha consegnato un assurdo diritto di veto alle sovrintendenze. Vanno giù il Maracanà, Wembley, il Camp Nou. Da noi non si può toccare la curva ferrovia dello stadio Franchi perché un sovrintendente in vena di ironia ha deciso di mettere il vincolo anche su quella (inguardabile) parte dello stadio. E soprattutto la politica ha sbagliato quando ha pensato di lisciare il pelo ai presidenti convinta che questa fosse la strada per ottenere consenso. L’ultima volta? Quando Lotito sette mesi fa ha ricattato la maggioranza dicendo: “o passa il mio emendamento sui soldi al calcio o non voto la legge di Bilancio” persino la presidente presunta underdog Giorgia Meloni ha chinato il capo e in una legge di bilancio in cui si aumentavano benzina e sigarette ha scelto di mettere quasi un miliardo per spalmare i debiti alle squadre professionistiche.Non servono i soldi pubblici, per favore: fate mettere i soldi dai fondi privati per i diritti, cambiate la governance del calcio, togliete il giocattolino a chi si è impossessato del sogno più amato dagli italiani. L’alternativa? La sparizione dell’Italia dal calcio che conta. Oggi in tanti parlano del ruolo dell’Arabia Saudita nel mondo sportivo. E chi di noi da anni sta dicendo che in quel Paese è in corso un cambiamento epocale sa bene che questo è solo l’inizio. Ma il problema non sono i 40 milioni che Lotito prende dall’Arabia Saudita per la vendita di Milinkovic. Il problema è che finché le squadre di calcio conteranno sugli emendamenti dei parlamentari anziché sui diritti tv e sul miglioramento del sistema non andremo da nessuna parte. I tifosi non sognano più nemmeno a luglio. Perché il calciomercato 2023 dimostra che il calcio italiano è morto e non lo sa. Qualcuno finalmente raccoglierà il grido di dolore?"


    Il direttore del Riformista, Matteo Renzi, sotto un titolo icastico e provocatorio (Il calcio italiano è morto e non lo sa), ha pubblicato giovedì, sulla prima pagina del suo giornale, un pezzo con il quale auspicava l’apertura di un dibattito su un tema annoso e sempre attuale. Naturalmente la mia posizione - e non solo perché sono essenzialmente un giornalista sportivo che si occupa di calcio - è leggermente diversa dalla sua. Se, infatti, non posso che convenire sulla mancanza di un’impiantistica adeguata per stadi in molti casi fatiscenti e obsoleti, oltre che sul ricorso agli emendamenti parlamentari, anziché sui diritti televisivi, i risultati sportivi indicano che il calcio italiano, pur acciaccato, vive un presente e si nutre di un futuro, per nulla disprezzabili.

    Nella stagione che sta per chiudere con le ultime competizioni, l’Italia è riuscita a portare tre squadre di club (Inter, Roma e Fiorentina) nelle tre finali continentali, più l’Under 20 nella finale mondiale e l’Under 19 in quella europea. Ora, è vero che quattro finali su cinque (l’ultima è in programma domenica sera) le abbiamo perse, ma è altrettanto vero che, soprattutto a livello giovanile, possiamo contare su una generazione in grado di offrire ricambio alla Nazionale maggiore e all’Under 21 che, nell’ultimo Europeo, ha fatto male uscendo alla fase a gironi. Tuttavia nelle tre principali rappresentative giovanili (Under 21, Under 20, Under 19) nessuno come accadrà, invece, all’Italia, può sperare in un decennio di grandissimo potenziale. Questo è il frutto di un lavoro avviato almeno vent’anni fa e che ha avuto in Maurizio Viscidi un coordinatore efficiente e qualificato. E’ chiaro che nel calcio non si vince solo perchè c’è programmazione, ma con l’ambizione, le idee e i mezzi si può essere moderatamente ottimisti.

    Pur non parlandone, immagino che Matteo Renzi reciti un implicito de profundis anche per la Nazionale maggiore, guidata da Roberto Mancini. Sul quale pesa la mancata qualificazione all’ultimo Mondiale (2022). A nessuno, però, può sfuggire che la sua Italia, contro ogni pronostico e con mezzi tecnici inferiori agli avversari, è campione d’Europa in carica e che nella Nations League, che misura praticamente ogni due la competitività continentale, è arrivata per ben due volte alle semifinali: in un caso quarta e nell’altro terza. Quanto all’esodo di fuoriclasse in altri campionati, ricordo sommessamente che la Francia, campione del mondo nel 1998 (in casa) e nel 2018 (in Russia) è da sempre un Paese che esporta calciatori, non il contrario. E questo senza che la Ligue 1 ne risenta partricolarmente. Non è un campionato di prima fascia (si situa abbondantemente dietro il nostro), ma grazie al Paris Saint Germain è un torneo che riscuote interesse e considerazione.

    La nostra serie A si è impoverita, questo è vero, ma i soldi degli arabi possono servire a rimettere in ordine conti sempre più disastrati e avviare una fase virtuosa che preveda di spendere in base a quanto si guadagna. In pura teoria, rappresenterebbe l’assunto del Fair Play finanziario di una sempre meno credibile Uefa. La forza dei sauditi è nel potere di acquisto al quale si sta piegando, in qualche caso clamoroso, anche la Premier League. In Inghilterra si gioca il campionato più bello del mondo, ma la Nazionale inglese non vince un titolo mondiale dal 1966 e nell’ultima Nations League è retrocessa in serie B. Certo, anche loro hanno una buona nidiata di giovani calciatori (l’Under 21 ha conquistato l’ultimo Europeo), ma l’integrazione con la Nazionale maggiore è tutta da inventare.

    Infine gli scandali. Noi, dopo Calciopoli - il più grave e più diffuso - abbiamo avuto quello dei conti gonfiati e delle plusvalenze della Juventus. Ma in Spagna, il Barcellona, vincitore dell’ultima Liga, ha pagato il vice capo della commissione arbitrale per anni e non è stato perseguito e punito solo perché il reato sportivo è prescritto. In Premier, il Manchester City, ovvero la squadra che ha fatto il triplete, vincendo anche la Champions contro l’Inter, è sotto inchiesta per un decennio di trucchi contabili, reato che la potrebbe portare, una volta giudicata, alla retrocessione in Championship. Ma sia la vicenda del Barca, sia quella del City sono state coperte da un silenzio tattico. Opportuno solo perchè le due situazioni sono imbarazzanti per l’intero calcio mondiale.
     


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