Caldara: "Milan, il rimorso della vita. Mi davano per finito, salvato da mia moglie"
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MILAN - "Il più grande rimorso della vita. Arrivavo dalla Juventus con Higuain, in due anni all'Atalanta avevo segnato 10 gol debuttando in Nazionale. Il club ci fece salire sulla terrazza di Piazza Duomo davanti ai tifosi. Che imbarazzo, già fare le interviste per me è dura. Durante una corsa in allenamento salta il tendine d'Achille. Il chirurgo vede che è rimasto attaccato del 10%, non mi opera. Resto a casa col gesso per 50 giorni. Torno in campo, Musacchio va in diffida. Finalmente è il mio momento, mi dico. Due giorni prima della partita in un contrasto con Borini mi rompo il crociato. Botta tremenda".
"Mai pensato al ritiro? Una mezza volta sì, vedevo la mia carriera quasi finita. Quando tutti ti dicono che sei finito, ti convinci che sia vero. Ho capito che non dovevo intestardirmi, certi livelli non li avrei più raggiunti. Dovevo lottare almeno per tornare a giocare a calcio. Alla fine ho ringraziato i medici. Erano i primi a restarci male quando non riuscivo a recuperare. L'allenatore metteva pressione: "Ma perché non è ancora pronto?". Non ho mai sofferto di depressione. Mi hanno salvato la famiglia, i genitori e Antonio, mental coach che mi ha aiutato nell'anno a La Spezia".
MODENA - "Ho ritrovato la gioia di giocare. Sono tornato bambino, apprezzo il non sentire dolore, la tensione del prepartita, anche le fatiche del ritiro che non facevo da anni. Andrea Catellani, il direttore sportivo, mi chiamava tutti i giorni. A Milano con l'amministratore delegato Matteo Rivetti ho sciolto ogni dubbio. Mister Bisoli poi mi ha fatto riassaporare il gusto di giocare a calcio, ricordandomi papà".