Calcioscommesse, minacce al PM: 'Ti facciamo saltare in aria'
«Processate il calcio italiano». Più che un atto d’accusa è un grido di dolore, quello che si alza dalla procura di Cremona, dove Roberto Di Martino, l’uomo che nel 2011 sollevò il velo sul grande suk del calcioscommesse, ha firmato l’atto conclusivo della sua indagine, la richiesta di rinvio a giudizio.
L’inchiesta è durata quattro anni, ed è passata anche attraverso momenti molto difficili. Solo ieri, a fascicolo chiuso, si è scoperto che nei giorni più caldi, quelli delle indagini sulla serie A, il magistrato ricevette in ufficio una pallottola calibro 7,65 con allegata minaccia, “ti facciamo saltare in aria”.
Come nei processi di mafia. E come nei processi di mafia i numeri sono da capogiro: 104 persone, secondo il pm, devono essere processate. Tra queste, oltre al ct Antonio Conte, il capitano della Lazio Stefano Mauri e l’allenatore dell’Udinese Stefano Colantuono, ci sono Cristiano Doni e Beppe Signori.
Le partite comprate, tra Serie A, Serie B e Lega Pro sono ufficialmente 60 negli ultimi 5 anni, «anche se - spiega un investigatore - ce ne sono altre 200 molto sospette». Molti anche i reati. Si va dall’associazione a delinquere fino all’avvelenamento doloso, passando per il riciclaggio e la frode sportiva.
L’udienza preliminare non si terrà prima di dicembre forse addirittura a gennaio, tempi allungati anche dalla assoluta impreparazione di un piccolo tribunale come quello di Cremona. Al momento manca sia una segretaria per fare le notifiche, sia un’aula sufficientemente grande da accogliere tutti gli imputati e i loro avvocati. Un po’ come successe a Grosseto per il caso della Costa Concordia.
Nel frattempo, anche in conseguenza di alcune novità contenute nella richiesta di Di Martino, il carrozzone della giustizia sportiva dovrà prendere qualche ulteriore decisione, non di poco conto: ad esempio dovrà decidere se e, nel caso, di quanto, penalizzare l’Atalanta per gli illeciti di Colantuono (e Marilungo) per le due gare contro il Crotone e il Padova. Decisione delicata. Potrebbe condannare i nerazzurri a una retrocessione e, di conseguenza, salvare il Cagliari.
Ma il vero simbolo del naufragio del calcio italiano è la vicenda di Conte. Il ct da ieri è «imputato per frode sportiva». Avrebbe contribuito a truccare il risultato di Albinoleffe Siena. Non è una condanna, ma non è nemmeno una bella etichetta da portare in giro per il mondo su una maglia azzurra. Cadute invece le accuse di associazione a delinquere e di un’altra frode sportiva, quella di Novara-Siena.
A incastrare il ct, secondo la procura, le parole del portiere del Siena Coppola e del centrocampista Carobbio. Questo, in sintesi, il loro racconto: alla fine dalla gara d’andata tra le due squadre c’è una sorta di rissa. Nel ricomporla le due squadre si accordano per il ritorno: se una delle due avesse avuto bisogno di punti, l’altra glieli avrebbe lasciati. Alla vigilia della gara di ritorno, il Siena era stato promosso e l’Albinoleffe aveva bisogno di punti.
Durante la riunione tecnica due giocatori, Terzi e Carobbio dissero all’allenatore che se avessero vinto avrebbero perso la faccia. Conte, che in un primo momento aveva spronato i suoi a vincere, lasciò i suoi uomini fare ciò che ritenevano. E’ questo uno dei passaggi chiave di tutta la vicenda, anche dal punto di vista processuale. Perché la giustizia sportiva dà di questo passaggio una lettura molto più leggera rispetto a quella penale. Si sarebbe trattato “soltanto” di un’omessa denuncia.
Di diversa opinione Di Martino che, citando il contratto nazionale degli allenatori, sostiene che Conte avrebbe dovuto «salvaguardare la condotta morale dei calciatori ». Conte cioè non solo non denunciò l’accordo, ma venne meno al suo dovere, aiutando i giocatori - proattivamente - a truccare il risultato schierando proprio Carobbio, cosa che avrebbe potuto non fare. Il tutto senza considerare le altre situazioni in cui l’allenatore si era venuto a trovare in altri frangenti della sua carriera. A Bari, ad esempio, dove davanti al procuratore locale, Antonio Laudati fu costretto a giustificarsi “sono un coglione” - per storie simili.
A processo, anche l’altro “caso” che ha scaldato per anni il clima intorno all’inchiesta, quello di Stefano Mauri. Per lui l’accusa è quella di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. La procura è sempre stata sicura della colpevolezza del giocatore, tanto da chiederne e ottenere l’arresto.
Ad accusare Mauri, le dichiarazioni dei calciatori/associati Gervasoni e Carobbio, quelle di Almir Gegic membro di spicco “degli zingari”, la banda che finanziava le scommesse sulle partite truccate, oltre alle intercettazioni telefoniche, ai tabulati e ai riscontri del servizio centrale operativo della Polizia. Quel quadro si è aggravato dopo le dichiarazioni dell’ex latitante Hristian Ilievski, capo delgli Zingari, consegnatosi ad aprile.
A corollario della sua inchiesta sulle scommesse, Di Martino ha anche chiuso l’inchiesta, nata da quella sul calcio, sulle scommesse nel mondo del tennis. Indagati tra gli altri Potito Starace e Daniele Bracciali. Un’indagine - stando alle indiscrezioni di chi ha letto i fascioli - «dai contenuti drammatici, peggio del calcio ».