Calcioscommesse e omessa denuncia: un rapporto perverso
Fra i tanti aspetti su cui si è discusso, a proposito della vicenda del calcioscommesse, ce n’è uno su cui il dibattito è stato piuttosto serrato e, a tratti, feroce: quello relativo all’omessa denuncia. Di questo reato sportivo si è parlato tanto negli ultimi mesi, a proposito delle vicende che hanno riguardato l’allenatore della Juventus Conte e i calciatori del Napoli Cannavaro e Grava; purtroppo il risalto mediatico dato a questi casi, e la discussione “inquinata” dal tifo che ne è derivata, hanno fatto perdere di vista la questione relativa alla natura stessa dell’omessa denuncia. Una questione che non può essere trascurata, specie in tempi in cui si parla di riforma della giustizia sportiva.
È bene, innanzitutto, partire dalla definizione. Il reato di omessa denuncia è così definito dal Codice di Giustizia Sportiva (art.7, comma 7): “I soggetti di cui all’art.1, commi 1 e 5, che comunque abbiano avuto rapporti con società o persone che abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti ovvero che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti, hanno l’obbligo di informarne, senza indugio, la Procura Federale della FIGC”; quindi un soggetto che viene a conoscenza di illeciti commessi, o in procinto di essere commessi, da altri ha l’obbligo di denunciare il tutto alla Procura Federale.
Un primo aspetto dubbio riguarda il confine tra omessa denuncia avvenuta e omessa denuncia presumibile. Riprendendo la sentenza definitiva di condanna a carico di Antonio Conte, si legge quanto segue: “Questi (l’ex collaboratore tecnico Stellini, ndr) era, all’epoca dei fatti, uno dei più stretti collaboratori del sig. Conte, essendo inserito nello staff tecnico da questi diretto. In via presuntiva, pare allora decisamente più logico, per il contesto organizzativo in cui lo Stellini era inserito, ritenere che egli abbia informato dell’accaduto il Conte piuttosto che il contrario”. In altre parole, Conte è stato condannato perché non poteva non essere stato informato da Stellini circa la combine in questione. Un “principio di plausibilità” ripreso anche dalla Commissione Disciplinare nella sentenza di condanna a carico di Cannavaro e Grava (sentenza poi ribaltata nei giorni scorsi dalla Corte di Giustizia Federale), secondo cui l’ex portiere partenopeo Gianello “non avrebbe avuto alcun interesse a coinvolgere nel tentativo di illecito Cannavaro e Grava se questo non fosse realmente avvenuto”; le prove dell’avvenuto tentativo di illecito sono rappresentate, sempre secondo il collegio giudicante, dal rapporto di amicizia che legava i tre calciatori e dal fatto che, in interrogatori resi all’autorità giudiziaria napoletana, Cannavaro e Grava non hanno escluso riferimenti ironici alla possibilità di perdere la partita contro la Sampdoria da parte di Gianello. Sempre in merito a questo aspetto, nella sentenza emessa dal TNAS a carico di Conte, si legge che “sotto il profilo probatorio per affermare la responsabilità di un incolpato di una violazione disciplinare sportiva non occorre la certezza assoluta della commissione dell’illecito né il superamento di ogni ragionevole dubbio […], risultando invece sufficiente un grado inferiore di certezza”. Una conferma di questo passaggio sta nel fatto che le prove portate dal Procuratore Federale Stefano Palazzi a carico degli imputati, nei due dibattimenti citati, non sono state prove oggettive (ad esempio intercettazioni telefoniche, come era avvenuto nei processi sportivi del 2006), bensì le circostanze riferite dai pentiti Filippo Carobbio e Matteo Gianello.
Un ulteriore interrogativo riguarda la possibilità di denunciare un qualunque comportamento illecito senza disporre di prove certe che questo si sia verificato: voci sentite per caso in uno spogliatoio o una proposta ricevuta a voce non costituiscono una prova oggettiva e inconfutabile, come invece accade nel caso di intercettazioni telefoniche o di passaggi sospetti di denaro tra i soggetti coinvolti. Inoltre, il concetto dell’omessa denuncia risulta strettamente legato a quello della responsabilità oggettiva dei club: un tesserato che viene a conoscenza di un illecito commesso da un altro tesserato dello stesso club si trova, infatti, a dover scegliere tra il rischio di vedere sanzionata la propria società di appartenenza per responsabilità oggettiva e il rischio di essere sanzionato, egli stesso, per omessa denuncia; un dubbio che può diventare atroce e creare problemi anche nel rapporto con la squadra e la tifoseria se il tesserato ricopre un ruolo importante (quello di allenatore nel caso di Conte, quello di capitano nel caso di Cannavaro).
Quanto detto finora in merito al reato di omessa denuncia, rimanda inevitabilmente ad un aspetto più generale, ossia la necessità di combattere un fenomeno purtroppo diffuso come le partite truccate e le scommesse illecite partendo da regole certe; una punizione esemplare e, al tempo stesso, giusta e ben circostanziata è la base per far rispettare nel migliore dei modi la legge (o un codice di comportamento, nel caso della giustizia sportiva) e per evitare che essa venga applicata in maniera difforme o, peggio ancora, arbitraria.
Vincenzo Murgolo (n. matricola: 1006649)