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Bucciantini: Inter più tecnica e fluida senza Melo
Ho iniziato così il commento all'ultimo turno di campionato per il giornale con il quale lavoro. Questi due dati paradossali nel loro inedito difetto sono molto significativi: raccontano in modo limpido la libertà di questa Serie A, senza padroni e senza ruoli assegnati. Lo Scudetto è ambito con piena legittimità da molte squadre, e dunque anche da quelle che conoscono o imparano strada facendo i propri limiti. Anzi, questa conoscenza è una preziosa alleata perché permette di ragionare su come nascondere i vizi, senza forzarli, senza tentare miglioramenti che rischierebbero di compromettere le virtù. La vincitrice della Serie A sarà probabilmente “difettosa” in alcune fasi di gioco e zone del campo, per organico o tattica. Per questo anche piccoli miglioramenti possono dare un immenso effetto sulla classifica.
Le ultime ore (e questo campionato va valutato ora per ora, non si può pretendere di navigare con il cannocchiale in mano, si va a vista) propongono le squadre di Milano. A livelli diversi, sembravano le più faticose. Mancini sta trovando un po’ di vivacità dopo aver cambiato qualcosa, tenendo in buona considerazione anche quelle critiche che sembravano impermalosirlo. Ha saputo dividere l’utile dal pretestuoso, partendo dall'oggettività: l’Inter deve produrre di più: statisticamente, se gli avversari trovano reti, la vittoria è negata (un gol a partita, s’è detto). E contro le maggiori forze del campionato, quando è più probabile che il vantaggio fisico sia annullato, il rischio di non farcela raddoppia. Ma è complicato per una squadra innestata sulla solidità difensiva tentare vie più organiche all’attacco. Il rischio è di squilibrarsi e incrinare il punto di forza. Per questo Mancini ha fatto piccole “riforme”, aggiungendo più “territorio” in alcuni ruoli, per accorciare in avanti la squadra: Nagatomo ha rimpiazzato un terzino mutuato dalla difesa centrale (Juan Jesus) e Brozovic ha tolto dal campo Kondogbia. In più, per armonizzare questo tentativo, è sparito Icardi, centravanti magnifico nel concludere, ma assente dalla costruzione e dal lavoro di reparto e soprattutto pigro nell'andare incontro alla palla fuori dall'area di rigore, quando la manovra cerca appoggi.
Come già a Palermo (quando Melo fu assente e Kondogbia sostituito in fretta da Biabiany), l’Inter ha corso di più, più leggera, più fluida, più tecnica. Ha concesso anche più occasioni perché ogni medaglia ha il suo rovescio, e la Roma ha fra tutte il maggior potenziale offensivo a freddo (cioè senza necessitare di manovra) ma Dzeko e Salah hanno avvelenato la strategia di Garcia, esaltando quella di Mancini. Però è indubbio che l'Inter abbia suscitato una diversa impressione: meno duelli fisici, e infatti contro una squadra che ha costretto comunque a molta fase difensiva, i nerazzurri hanno commesso solo 7 falli, quando la media di squadra è di 14 a partita. Più mobilità, più “riempimento” del campo, più spostamento del pallone, con appoggi tecnici alla manovra (i tre slavi in attacco). La qualità dell'avversario non ha permesso la stessa penetrazione d'attacco che si vide nella ripresa a Palermo (il momento di gioco che lo stesso Mancini ha definito più “importante” in questo avvio di stagione), eppure che le due più armoniose prestazioni dell'Inter siano arrivare senza Melo e Kondogbia deve far riflettere. Sono due titolari tenacemente inseguiti. Aggiungono presidio, impatto, robustezza, riferimenti, personalità (ma il francese deve osare di più). E tolgono metri di campo perché non corrono in avanti con naturalezza e tempismo. Mancini deve sempre calcolare cosa trova e cosa perde, ma la maggiore considerazione del campo, la maggiore pulizia stilistica di quest'ultima Inter è più che un'alternativa.
Alle forti va aggiunto il Milan, o va tolta la Lazio: chissà. La partita di iersera confonde, rovescia certezze che forse erano relative: sentirsi più forti è un’inganno piacevole dell’equilibrio. Lo stesso equilibrio che tiene mentalmente nel torneo anche la Juventus, anche il Milan precario delle prime giornate, che in una settimana ha accantonato metà dei punti fatti, buoni forse per illudersi anch’esso. O forse punto di partenza di una stagione tutta da scoprire.
Come Mancini, anche Mihajlovic ha tempo libero durante la settimana per lavorare molto, per cambiare, osare. La mancanza delle coppe va trasformata in opportunità. Un campionato libero offri spazi da conquistare ma servono serenità per azzardare e mentalità. Mihajlovic nel momento più difficile della stagione ha dimostrato qualcosa, scegliendo con la sua testa, disobbedendo al padrone: un solo centravanti (di tre - identici! - che ha in organico) e due attaccanti esterni. L’azione si appoggia meglio, la squadra corre più svelta verso l’area, le linee di passaggio sono più credibili e fantasiose.
Come Mancini, ha provato a cambiare. Rispetto all'Inter, il Milan era obbligato a inventarsi qualcosa, non aveva una classifica da difendere, non aveva alibi da mostrare o numeri per essere titubante. In più, l'infortunio di Balotelli ha permesso al tecnico di spendere una frase imbattibile, davanti alle pretese del presidente: “Ho solo due attaccanti centrali, uno lo tengo in panchina per poter aggiungere qualcosa nel corso del match”. Frase che ha una sua logica e che ha un suo mistero, e come tutte le ambiguità, assume un'importanza che colpisce i credenti, e non convince gli scettici: infatti, servivano le vittorie per non inchiodare Mihajlovic al suo stesso ragionamento. Eccole, tre in fila. Con convinzioni crescenti, ed estetica in aumento. Anche il Milan si muove diversamente e meglio: Cerci e Bonaventura sono decisivi, le linee di sfogo della manovra sono più ampie e varie, e Bacca ha così forza fisica da poter garantire i duelli centrali, anche da solo. Bertolacci e Kucka sembrano gli interni con la migliore falcata per cucire i reparti e assicurare qualcosa in contenimento, Montolivo non sa cambiare ritmo alla partita ma sa almeno assecondarlo, e questo quartetto intorno a lui sa imprimere un po' di passo alla squadra. Il Milan non ha certezze granitiche, né di gioco né individuali, e infatti scopre protagonisti momentanei (adesso, Cerci, che sembrava l'ultimo degli arruolabili). Soprattutto, non ha un telaio all'altezza del blasone e delle aspettative – sempre massime – di una società che pretende più dallo spogliatoio che da se stessa. Però è rimasto dentro il campionato, lo ha acciuffato con scelte non banali (perfino un portiere che ha l'età del primo bacio),e adesso ha una squadra lineare che può ingrandirsi per inerzia. Non vincerà lo scudetto, ma almeno non arrossirà guardando la classifica.
Marco Bucciantini