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    Bucciantini: le grandi idee di Allegri

    Bucciantini: le grandi idee di Allegri

    La Juventus riempie di significato la partita di Madrid: questo era l’obiettivo: centrato. A metà maggio, nel giorno del ritorno della semifinale, la squadra italiana più forte avrà ancora tutto da vincere e – raggiunto lo Scudetto, onorata la Champions, abbellita la stagione con la finale di Coppa Italia – poco da perdere. Allegri ha costruito una stagione enorme, dapprima “gestendo” l’inerzia della squadra ereditata da Conte, poi aggiungendo qualcosa, un po’ alla volta, un’idea alla volta, ampliando le possibilità tattiche e rinfrescando le abitudini anche dei più rodati. Non ha inseguito esibizioni muscolari, o numeri feticisti: ha scelto le partite perché doveva farlo, per essere in lotta a maggio, su tutto. Magari fingeva rabbia in sala stampa, per qualche dispersione agonistica, qua e là. Ma era un consumato gioco delle parti. Chi si ricorderà mai della sconfitta di Parma? Al dunque, ha sfoderato sempre le migliori edizioni possibili, sotto tutti i punti di vista. 

    Contro il Real, tutto è tornato: a parte Pogba, l’organico era sano, anzi qualcuno (Vidal, per esempio, e anche Evra) sembra nel momento migliore della stagione. I mestieranti (Pirlo, Buffon, ormai anche Marchisio) sanno governare le loro energie. Tevez mischia la personalità alla classe, e tutto supera qualsiasi calcolo fisico. Poi c’è Allegri, e il 4-4-2 con le linee ben definite, senza camuffamenti a rombo, senza giocatori fra le linee, almeno sulla “stampa”. Un modulo in disuso, ritrovato per impattare i numeri sulle fasce, sbilanciati verso Madrid. Ecco un’altra idea, un’altra aggiunta di Allegri. 

    Se c’è una differenza fra il nostro calcio, masticato e dominato dalla Juventus, e quello praticato nei vertici degli altri campionati è proprio l’uso delle fasce e la pericolosità direttamente generata dagli esterni d’attacco. Nel nostro campionato le fasce sono di “supporto” e appoggio allo sfogo centrale. I gol arrivano dai calciatori che occupano (per ruolo) o che vanno a cercare (in movimento) la zona del centravanti. Tevez – il capocannoniere – pensa da primattore, e al limite usa il centravanti di turno come perno per entrare dentro e così segna. Icardi vive lì, Higuain respira ovunque ma conclude da lì, come Toni. Perfino Menez che cresce come attaccante esterno e che adora giocare lontano dalla porta, trova i gol perché nel Milan è lui che va dentro, che attacca la profondità centrale, spesso direttamente palla al piede. Gabbiadini a Napoli ha riscoperto la sua primitiva indole di centravanti, e segna dalla zona della prima punta (o cannoneggiando da fuori: lo sa fare). Di Natale gioca i suoi momenti di partita considerando solo la porta, e la linea più rapida e meno faticosa per giungervi, nient’altro e tutto lo assecondano. Questi i nostri gol. 

    Altrove c’è una diffusione maggiore, spesso i giocatori di maggior talento e più decisivi sono esterni e dai lati nasce l’azione decisiva. Sulle fasce si decentra la regia del gol: da là partono Messi e Cristiano Ronaldo palla al piede, o Bale e Neymar. È una vocazione soprattutto dalla Liga, ma anche le maggiori squadre tedesche del periodo, Bayern e Dortmund, hanno cercato quest’ampiezza di pericolo, almeno potenziale. Perfino la più verticale e “ossuta” squadra spagnola, l’Atletico, si è diversificata dopo l’addio di Diego Costa, e con il francese Antoine Griezmann ha scelto la velocità, la destrezza, l’anticipo: Griezmann era un’ala pura, poi esterno d’attacco, adesso seconda punta che gioca vicino al centravanti, quel Mandzukic così abile nell’esaltare i compagni di reparto. Non c’è solo più tecnica e velocità in questi gol, ma anche una diversa concezione tattica. E al di là dell’esatta formulazione delle reti, c’è una maggiore richiesta di partecipazione dai lati non solo come assistenza ma proprio come quantità di gol. 

    Per completare questo discorso, Real e Barcellona hanno sempre usato terzini di vocazione d’attacco, più bravi nel palleggio che nella fase difensiva: bisogna accorciare il campo dietro ai fenomeni, bisogna andare a giocare lassù, e lassù servono tecnica e capacità di dialogare palla a terra. Spesso sono ex centrocampisti ad andare a giocare in quei ruoli, e anche vecchie ali riciclate. In Italia siamo appena regrediti, arrivando perfino alla riscoperta della difesa a tre per l’assenza di coraggio e di interpreti del ruolo di esterno basso (infatti Darmian vale 15 milioni: il prezzo giusto per una necessità di molti, se bisogna vedere ex stopper giocare da fluidificanti…). Quel modulo ha di fatto tolto di mezzo l’idea di attaccare con gli esterni alti. 

    Allegri non ha potuto allargare il fronte d’attacco, per mancanza di esterni specifici in avanti. La ricerca della porta arriva sempre dal centro, dalle verticalizzazioni di Pirlo, dalla presenza improvvisa di Pogba, Vidal, Pereyra sul limite dell’area o perfino dentro, in inserimento. Questa mancanza è forse l’unica lacuna tattica della squadra ma intanto Allegri ha messo le basi per avere (magari la prossima stagione) un terzetto di attaccanti. Non solo per questo si è rivista da mesi linea difensiva a quattro, con autentici terzini di spinta. Dall’autunno era una speranza più volte scritta in questa rubrica, necessaria per tornare competitivi in Europa. Il problema è che in Serie A non c’è – appunto – rodaggio tattico contro gli esterni d’attacco. La Lazio li usa con profitto (Candrea e Felipe Anderson, protagonisti e decisivi), e il Napoli (e la Juventus comunque soffre quest’ampiezza della squadra di Benitez, per esempio). La Roma li ha, ma inefficaci. Altre situazioni probanti non ce ne sono. L’Europa di vertice, l’Europa rimasta in lotta per la Champions invece propone questo: il Real, si è detto, il Barcellona, con Neymar e Messi, e il Bayern quando ci sono Robben e Ribery

    Serviva qualcosa di inedito, e allora ecco la “trovata” di Allegri, con Sturaro e Marchisio “semi” esterni, il 4-4-2, come aver ritrovato una chiave dimenticata nel baule nascosto sotto il letto, pieno di polvere. Il traffico raddoppiato stabilmente sulle fasce per impastare l’azione del Real laddove poteva nascere più pericolosa, con James Rodriguez e Ronaldo e Isco e Bale, sostenuti dai terzini. Il poco che ha creato il Real è comunque nato così, ma è stato poco, appunto. L’assenza di Benzema poi ha costretto Ronaldo e Bale a lavorare troppo tempo verso il centro, deprimendoli, sottraendoli dal “loro” gioco: amano accomodarsi larghi per poter ricevere, controllare, partire. Ancelotti ha invece chiesto a Rodriguez e Isco di raccogliere palla, e arrivare a i suoi fenomeni d’attacco con un passaggio successivo: lì, ormai, lavorava bene la difesa bianconera perché tatticamente il filtro aveva già inaridito quel passaggio. Allegri ha spostato la Juventus sul Real, e ha costretto i campioni d’Europa a linee più orizzontali, più insistite perché non c’era spazio per correre e soprattutto non ce n’era per Bale e Ronaldo (che infatti ha trovato qualcosa in quest’andata solo da “centravanti”). 

    In più, l’abbassamento di Vidal vicino a Pirlo ha allentato la pressione sul regista, offerto un altro riferimento al disimpegno e soprattutto ha liberato lo spazio sulla trequarti, permettendo a Tevez di giocare lì, occupando lui lo spazio fra le linee. Il Real non considera i mediani d’interdizione (nell’azione del primo gol la Juventus fa 27 passaggi prima del tiro di Tevez!). Se l’argentino può ricevere palla e guardare la porta, l’azione diventa potenzialmente importante. In sostanza, ciò che ha studiato Allegri ha portato qualcosa alla Juventus, in questa mezza semifinale. 

    Al ritorno si può scommettere che Ancelotti userà il centravanti, e dunque il 4-3-3, se non altro per aiutare Bale e Ronaldo a “trovare” meglio la partita, e per “allontanare” Ronaldo dai mastini che popolano il centro area bianconero. A quel punto il 4-4-2 di Allegri sarà messo sotto la frusta, e potrà mutare (come accaduto iersera, con Barzagli) ma ormai la Juventus è psicologicamente dentro questa semifinale, sente la finale più vicina, si rafforza di quest’odore. E il Real – che resta favorito – non ha mostrato particolare potenza, invero, da far temere un ritorno impossibile. Ancora: la Juventus sa soffrire, e sa da mesi che dovrà soffrire. Il Real sa dominare, e se non viaggia fluido scopre difficoltà che lo innervosiscono. Insomma, ci sono argomenti per crederci, servirà almeno un gol, servirà tutto e potrà non bastare. Ma la Juventus, e Allegri, saranno consapevoli di essersela giocata. 

    Marco Bucciantini

     

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