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    Bucciantini: elogio del Pep, quei passi lunghi da strapparsi i calzoni

    Bucciantini: elogio del Pep, quei passi lunghi da strapparsi i calzoni

    Così Pep Guardiola ce l’ha fatta: ha aggiunto al suo concetto di calcio qualcosa che non considerava, e che ha trovato in Germania. E ha aggiunto alla forza del Bayern qualcosa che solo lui possiede e che pratica con coraggio e convinzione. Due magnifiche esperienze calcistiche che sembravano esaurite si allargano di nuove complessità, di senso, di grandezza. La rimonta dei bavaresi, senza molti titolari e fra gli assenti anche i quattro giocatori più rappresentativi, forse più importanti (Robben, Ribery, Schweinsteiger, Alaba e poi anche Martinez, Benatia…) è una piccola frontiera conquistata nella mitica “corsa all’ovest” del tecnico catalano: sono riusciti a fare anche questo, dunque si riduce l’impossibile per questa squadra. 

    Non casualmente, l’altra protagonista di Champions è la vecchia squadra di Guardiola, il Barcellona: anch’esso si è “sgrossato”, semplificato, rafforzato rispetto alle ultime versioni troppo uguali a quelle confezionate da Pep: invece che uguali ne erano grottesche e stanche imitazioni. Luis Enrique giova delle sue esperienze (anche dei suoi fallimenti, spesso per mancanza di originalità rispetto al suo maestro) e di un attacco più profondo rispetto a prima: lui lo muove bene, chiedendo a Messi maggiore regìa, insieme ai soliti gol. Sarebbe stupido tenere Neymar e soprattutto Suarez in squadra e poi sfiancarli di possesso al di fuori dell’area. Quando il Barcellona può correre verso la porta, è immarcabile. Ma se c’è una squadra che può impedire al Barcellona di correre così è proprio il Bayern, e per due ragioni: recuperando Alaba e Schweinsteiger, la mediana con Xabi Alonso si salda ai centrali difensivi (di classe eccelsa in Boateng e Benatia) per una linea di blocco molto alta, ben al di fuori dell’area, grossomodo là dove i tre funamboli del Barcellona amano ricevere palla e cominciare la volata in avanti. Questo inaridimento “fisico” della fonte di gioco è però la carta di riserva: dapprima, il Bayern impedisce agli altri di giocare perché tiene in mano la partita, sempre, ovunque. Sono due squadre concepite per respirare con il possesso palla ma i tedeschi possono farlo in tutte le zone del campo, gli spagnoli no. Infatti i maggiori tifosi del Porto ieri sera erano in Catalogna: il resto della concorrenza non riesce ad arginare il Barcellona, mentre il Bayern – sulla carta – può farlo.

    Ma torniamo a Guardiola, al suo saper pennellare anche in una tela così “pronta”. La scorsa primavera si misurò con il limite superiore che aveva dato alle sue cose di campo. Per catarsi o alterigia, mentre si fiaccava il lascito in Catalogna, il Bayern di Pep osò ciò che la natura vieta: cancellare l’epitaffio che proprio i tedeschi scrissero dodici mesi prima: i sette gol (a zero) contro il Barcellona arrivarono enormi per proporzioni e per significato: chiusero – si disse allora, dopo le semifinale della Champions League 2013 - l’epoca del tiki-taka, quell’espressione onomatopeica che “riproduceva” l’incedere dei passaggi, spesso brevi ma infiniti con i quali gli spagnoli padroneggiavano il campo, privando gli avversari della palla e dunque del miglior argomento su un terreno di gioco. Quelli che definimmo in un commento dell’epoca proprio Tiki e Taka (Xavi e Iniesta...) si erano mossi per chiedere la fine di quel sistema: “Proviamo a cambiar gioco”, consigliarono a Tata Martino. Dopo sette anni di vittorie (tutto quello che offre questo sport, per club e per nazionali) i due maggiori interpreti tecnicamente e fisicamente di quel sistema di governo “rasoterra” del mondo imposto da Guardiola ma così attagliato al loro modo di essere e giocare - ideale per esaltare le loro qualità e nascondere il loro ipotetico difetto: l'insufficienza di centimetri - ecco, proprio loro due avvertirono il bisogno di emancipare la squadra dal rischio di scimmiottare se stessa. Erano ragni intrappolati nella loro stessa ragnatela. 
    Chi sembrò non curarsi di questo allarme fu proprio Guardiola: trasferì questo suo stile sublime al Bayern che Heynckes aveva impostato secondo logiche moderne, ma senza esasperazioni, spostando il pericolo sugli esterni (Robben e Ribery) e chiamando tutto l’organico all’azione d’attacco. Il Bayern veniva dal triplete e cosa poteva aggiungere, Pep? 

    Riusciva a vincere e stravincere la Bundesliga, fino a credere di aver allevato una creatura simile e più potente della precedente: invece l’aveva piegata dal verso sbagliato. Se ne accorse sempre in semifinale di Champions, contro i forti, perché è contro i forti che si misurano le più tenaci idee: il Real mortificò il Bayern catalano. Sembrò cinico e naturale: le cose passano, anche quelle bellissime. “Odio il tiki taka”, arrivò a dire, il Pep, mentendo a se stesso e al mondo. Aveva bisogno di “superarsi”, di uscire dalla ragnatela come avevano già chiesto e fatto Xavi e Iniesta. Tenendo ferma la barra, ascoltando (infastidito) i brusii dirigenziali (lo stadio è sempre stato con lui). Concimando quella sua idea di gioco e di dominio con la tipicità tedesca e l’esuberanza naturale dei campioni a disposizione. Così ha costruito queste serate europee piene di gol, di talento collettivo e individuale.

    La grande differenza fra quel Barcellona e questo Bayern è la considerazione dell’area di rigore (anche della porta) e di conseguenza l’uso e i movimenti degli attaccanti. In Catalogna Tiki e Taka cucivano il gioco arricciandolo, dominandolo ovunque ma distante dall’area, dove nessun attaccante sostava o si lanciava (“il centravanti è lo spazio”), almeno non prima che Messi (al limite lo stesso Iniesta) decidesse di entrare dentro, palla al piede, o cercando l’uno due, e partendo più spesso dal vertice. Serve sempre un po’ di eccesso per spingere uno stile all’estetica, al ricordo. Liberato da questo complesso, ormai assodato, Guardiola s’è aggiornato, meravigliosamente. In Baviera, Muller e Lewandowsi si muovono incontro come dentro l’area, a loro va uno dei primi passaggi dell’azione, loro contribuiscono all’ingresso in area del resto della squadra, per loro gli esterni cercano il fondo (a Barcellona quasi mai si arrivava in fondo al campo, e semmai – con Iniesta – era solo un momento del suo andare, in un’azione che ritornava poi verso il centro, risaliva la corrente, portando a spasso un bel po’ di avversari). Specie quando mancano Robben e Ribery, che invece possono alternare questo agire con le percussioni dirette dalla trequarti verso la porta.

    Guardiola a Monaco ha fisicamente spostato in area il suo calcio. Ha aggiornato la sua “teoria”, piegandola forse ai giocatori a disposizione, o più probabilmente rivisitando un sistema che era già logoro e che sicuramente era meno esportabile del previsto, essendo fortemente legato ai quei centrocampisti, alla loro natura, alla loro storia, perfino. Nel Barcellona c’era anche quello spirito di enclave, di revanscismo, di appropriazione tipico delle rivendicazioni catalane.

    A Monaco ha trovato una squadra vincente e anche dominante alla quale ha voluto aggiungere una considerazione proprietaria del campo, e la conseguente disintegrazione dell’avversario. Due “preoccupazioni” perfino eccessive e manieriste, spesso inutili perché non cambiano i destini della squadra più forte. Ma necessarie a testimoniare un transito (il suo) da questo posto che non si distingue solo per le vittorie, non più, non soltanto, non pienamente: a Guardiola ha chiesto una qualità, una memoria, una storicità. In breve: un’impresa superiore. Pep ci ha provato, alzando la difesa, usando entrambi i lati in pressione e recupero palla, dapprima ripetendo il suo marchio catalano – subendo dal Real Madrid una lezione – e poi rinfrescandolo con nozioni bavaresi

    Se il Barcellona sembrò un modo rivoluzionario di giocare e intendere la partita (nel solco olandese, d’accordo, ma in maniera tipica loro), e fu espressione massima, irripetibile, ineguagliabile di un certo modo di fare calcio, il Bayern a volte sembra il limite superiore di questo sport, tutto inteso, nei suoi aspetti tecnici, tattici, fisici, agonistici. 

    Stasera le altre semifinaliste, con le loro ambizioni, con i loro campioni, la loro immensa storia (se fossero Juventus e Real, che quartetto…). Ma Barcellona e Bayern partono un passo avanti: quel passo è quello di Guardiola, fatto prima e ri-fatto dopo, così lungo da strapparsi i pantaloni.

    Marco Bucciantini
     

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