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    Bucciantini: Inzaghi e la società, l'alibi reciproco che affonda il Milan

    Bucciantini: Inzaghi e la società, l'alibi reciproco che affonda il Milan

    Le squadre che angosciano Lotito, quelle piccole, difficili da vendere alle televisioni, impattano Juventus, Roma e Milan. Al Napoli va peggio, ma quasi tutti i tecnici continuano a sottovalutare una delle azioni meglio riuscite di questa Serie A: il contropiede del Palermo, una transizione essenziale, limpida, sempre simile eppure inevitabile: palla subito a Dybala, il movimento conseguente di Vazquez, l’inserimento di un centrocampista, quasi sempre uno solo.

    I lettori di questa rubrica sanno che da mesi ne siamo convinti: il Palermo è la migliore squadra nel rigiocare dopo il recupero palla. Merito di Iachini, senza dubbio, di Dybala (che va subito a smarcarsi sull’esterno, senza preferenza spiccata di lato, ha controllo palla, tecnica e visione di gioco, anche con il difensore addosso, o con un solo compagno da servire) e di Vazquez, che può toccare anche solo tre palloni a partita, ma sa cosa farci e sa dove mettersi. Con il Palermo è vietato girare palla in orizzontale, per troppo tempo. Sono riferimenti da evitare, proprio per scongiurare questi superbi contropiedi. Meglio verticalizzare, andare in fretta a duellare con i difensori, e tenere almeno un esterno basso, per raddoppiare Dybala.

    Il Napoli (ma fu così anche per tante altre squadre) va in bocca ai siciliani. Questo resta il limite di Benitez: non ragiona troppo sugli avversari, infatti inciampa più facilmente contro le squadre inferiori, e magari poi batte la Roma e la Juventus. La Fiorentina adesso è più vicina di quanto lo sia la Roma: il Napoli è sempre padrone del suo destino, ma i viola hanno un argomento nuovo, mica male: con un regista d’attacco (Diamanti) e una seconda punta vera (Salah) hanno trovato raziocinio, pensiero, coralità negli ultimi metri di campo. Il resto già funzionava. Se l’attacco si muove - per far sfogare il palleggio, per favorirne un approdo più rapido all’area - e si davanti pensano insieme, la Fiorentina può rimontare.

    In generale, sia il Napoli che la Juventus e soprattutto il Milan subiscono il ritmo di Palermo, Cesena ed Empoli. Questo è un limite moderno del nostro calcio, soprattutto nelle squadre di vertice: non si sono preoccupate del cambio di passo, più attente ai tatticismi. È una delle lacune più evidenti nelle partite europee e se finalmente qualche squadra della provincia italiana gioca così è un guadagno vero per tutta la Serie A (anche l’Atalanta ci prova, ma sia a Firenze che contro l’Inter ha resistito appena 20’, su certi ritmi deve gestirsi meglio perché quando si dilata è troppo vulnerabile). Abituarsi a combattere a certe velocità, anche nelle partite tecnicamente più semplici, è l’allenamento più probante per qualsiasi ambizione.

    Solo un accenno alla Roma, poiché saremmo ripetitivi: la sua efficacia è troppo congiunta a giocatori che non le assicurano la quantità di gol ed episodi decisivi necessari agli obiettivi massimi. Scritto troppe volte per ripeterlo, non si può organizzare un attacco su Gervinho, a meno di non avere un rapace di area di rigore capace di raccogliere quel lavoro sporco e ripulirlo di gol. In più - e questo è un discorso che parte da Garcia, ma si può estendere - mandare in campo giocatori affatto irresistibili, giunti in squadra da poche ore, è la negazione stessa dell’importanza del lavoro, dell’allenamento. Questo (a livello d’impressione) è l’involuzione più drammatica della Roma: sembrava una squadra preparata, quasi scientifica. Adesso sembra casuale, estemporanea. Cedere Destro e non avere niente di pronto da mettere in area è stato un errore di sottovalutazione enorme a certi livelli: si puo' rimproverare a Destro di segnare solo con le squadre piccole, infatti sono due mesi che la Roma non riesce più a battere proprio quelle squadre vittime preferite dell'attaccante marchigiano!

    La partita del fine settimana è stata però Milan-Empoli: spietata fotografia di due squadre opposte. Per tornare ai ritmi di gioco, nel caso dei toscani l’intensità è allacciata e sublimata a un organizzazione difensiva e soprattutto a una forte e tenace visione d’attacco. L’ampiezza del gioco dell’Empoli è impressionante, la capacità di occupare in fretta molte zone avversarie è sintomo di allenamento e coraggio. Il Milan subisce una lezione di gioco anche perché continua a manifestare una lunghezza di squadra da anni settanta. I continui e obbligati cambi di formazione per gli infortuni spiegano qualcosa, non tutto. E Destro allunga ancora di più la squadra, ma se non altro costringe Menez a contemplare la sua presenza. Bonaventura razionalizza qualche manovra e qualche transizione, e ragiona anche in modo tattico, aspettando le retrovie. Il problema è il centrocampo, che è tutto diverso. Avanza al trotto, mentre davanti galoppano. È tecnicamente impacciato, viaggia a piccoli passaggi, mentre Menez e Destro vogliono la palla in fretta. Ci sono anche molti infortuni, ma sugli infortuni bisogna essere cinici: non è solo sfortuna. Può essere cattivo allenamento, o cattiva muscolatura, o propensione ad articolazioni deboli: sono tutte cose valutabili quando si costruisce una rosa, sembra invece che ci sia una scarsa considerazione di queste qualità atletiche, decisive in ogni sport.

    Detto questo, filtrato il momento del Milan dal riverbero della crisi societaria (di soldi, di chiarezza, di intuizione, di scouting, perfino di ambizione), smerigliato il rendimento dagli infortuni e dal via vai in organico, con gente che arriva il venerdì e la domenica è titolare, resta Inzaghi, che ancora è inconsistente. Avevamo difeso l’idea iniziale e moderna di muovere l’attacco senza dare riferimenti (peraltro forse abiurata con la scelta di Destro). Ma qualsiasi progetto ci sia nella testa dell’allenatore, non c’è stata nessuna crescita o consolidazione tattica di squadra. Il Milan è quasi sempre vittima della partita altrui. Non accorcia in avanti, non fa lavorare di reparto le difese avversarie, non ha linearità, traccia. E per essere didascalici, ogni tanto manifesta delle insensatezze tattiche. Ieri c’è da denunciare la scelta del 4-4-2 (con Honda e Bonaventura erano esterni di centrocampo). Lo schema più logoro e consunto in circolazione, il più applicato vent’anni fa, il più studiato e sviscerato, financo superato e annientato da ogni schema che preveda un terzetto di centrocampo (soprattutto il 4-2-3-1, che nasce antitetico, con l’abbassamento del trequartista fra i due mediani in avvio di azione). L’Empoli si preoccupa di interrompere con il pressing la linea fra i quattro giocatori di fascia, isolandoli. E al centro domina, 3 contro 2, anche 4 contro 2, perché Zelinski aiuta, e così Valdifiori fa la partita. Andare con il 4-4-2 contro il 4-3-3 più organizzato d’Italia è stata una mossa disperata, cieca: infatti l’avvio è stato letteralmente dominato dall’Empoli. I duelli vinti dagli attaccanti del Milan hanno confuso una partita che però piano piano è tornata in mano ai toscani.

    L’unica possibilità era quella (e forse questa era l’idea di Inzaghi) di cercare il palleggio verso Honda e Bonaventura, i giocatori più tecnici usati in modo decentrato: è sempre la miglior contromossa per sfuggire al pressing, alle aggressioni, perché allarga il campo di possesso palla. E con gli esterni andare poi al fraseggio verso gli attaccanti, spostando la partita dall’altra parte. Ma è un abbozzo, un appunto scritto su un foglio bagnato e l’errore del tecnico diventa scoperto, per due motivi: se devi usare gli esterni per palleggiare e possedere, vanno messi sul piede naturale, per sfruttare appunto l’ampiezza della corsia: invece il mancino era a destra, e il destrorso era a sinistra, come quando invece si vuole stringere il campo, per guadagnare pericolosità nel tiro (arrivarci, però, al tiro)… E soprattutto, è impossibile far girare palla se in mediana non c’è classe. Come si fa a sfuggire dall’aggressività degli avversari se servono tre tocchi per addomesticare il pallone?

    Le colpe sono così profonde che scaricarle su Inzaghi non avrebbe nemmeno senso, anzi, nasconderebbe parte della realtà. Ma questi mesi devono essere spietati: con questo organico (difettoso, lacunoso, ma non povero) e senza l’impegno delle Coppe, con settimane piene di lavoro, il Milan non può essere così misero. È come se il tempo fra una partita e l’altra scorresse invano. Più in generale, e paradossalmente, l’impressione è che in questa eterna transizione la società e il tecnico siano un comodo alibi l’uno per l’altro, e stare insieme significa anche non dover fare i conti con i propri errori.

     

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