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    Borioni: quando Paolo Rossi chiese più soldi a Boniperti, e Osti la cessione

    Borioni: quando Paolo Rossi chiese più soldi a Boniperti, e Osti la cessione

    Nell’estate del 1982, subito dopo la sbornia del Mundial vinto dall’Italia di Bearzot, scoppiò il caso dei ribelli bianconeri. Paolo Rossi, Marco Tardelli e Claudio Gentile osarono aprire una trattativa sull’ingaggio che ogni anno il presidente Boniperti proponeva ai suoi giocatori (si fa per dire: dettava le condizioni e indicava dove firmare) nel ritiro di Villar Perosa, tutto in un giorno. Un’altra epoca, un altro mondo, un altro calcio. La Juventus era la squadra leader (in questo senso le cose non sono cambiate) e dal punto di vista di Giampiero Boniperti era inconcepibile che un giocatore, anche molto bravo, perfino laureato campione del mondo, che avesse avuto il privilegio di vestire la gloriosa maglia bianconera, potesse chiedere un aumento. 

    Rossi, Tardelli e Gentile - invece - lo fecero. Proprio loro: il capocannoniere di Spagna, il centrocampista che giocava nel futuro, il difensore incorruttibile che non si piegava neppure davanti agli spauracchi Maradona e Zico. Assieme ad altri straordinari compagni protagonisti di un’avventura leggendaria, erano appena saliti sul tetto del mondo. E si aspettavano un riconoscimento tangibile. Fecero il passo, mostrarono la stessa grinta del campo sul versante contrattuale, pur dopo i peana e gli applausi di una nazione intera. Guadagnavano già abbastanza, ma parliamo di cifre che se paragonate alla media degli ingaggi attuali, sembrano davvero distanti anni luce. Per rendere un’idea, diciamo che con la somma di un ingaggio annuale di giocatori al top come Rossi o Tardelli, in quegli anni avreste potuto acquistare un appartamento di medio-alto valore, non certo la stra-villa dei sogni che può permettersi uno qualsiasi degli attuali fuoriclasse, o presunti tali, del pallone. 
    Rossi, Tardelli e Gentile chiesero un ritocchino, un trenta per cento in più. Boniperti si chiuse a riccio, scegliendo la linea dura: i tre campioni del mondo finirono fuori rosa, saltarono un’amichevole e rimasero a meditare. Poi ci fu un nuovo incontro, sempre a Villar Perosa. Il presidentissimo mostrò un contratto con una cifra inferiore a quella richiesta, ma comunque un po’ più alta di quella proposta. E la trattativa fu subito chiusa con soddisfazione comune. Anche perché la vicenda aveva già eluso il rigido controllo mediatico del club bianconero. Paolo Rossi si era lasciato sfuggire una frase come “cosa darò da mangiare ai miei figli”, una frase detta chissà in quale momento e contesto, parole di cui si pentì immediatamente ma sufficienti a scatenare una reazione popolare piuttosto veemente, in quell’Italia meno scafata (più autentica?) di oggi. Memorabile l’ironica e paradossale colletta che fu lanciata in Liguria proprio pro Pablito...

    Ma quell’estate fu particolarmente travagliata per Boniperti. Come ha recentemente ricordato su queste pagine digitali Darwin Pastorin, memoria storica degli anni favolosi in bianconero e in azzurro, non fu quello l’unico problema che il presidente dovette affrontare: accadde anche che il terzino Carlo Osti gli chiese di essere ceduto. Incredibile! Dopo la sfuriata, a ottobre l’ex atalantino fu girato senza tanti complimenti all’Avellino e non certo a titolo di favore, ma in cambio di un’opzione che avrebbe poi portato alla Juve il portiere Tacconi e il fantasista Vignola. 

    Flashback da un calciomercato a un altro. Carlo Osti è passato dall’altra parte della barricata e in queste ore trascorre momenti non semplici da gestire con un altro presidente, il sampdoriano Massimo Ferrero. Difficile immaginare un personaggio tanto all’opposto di Boniperti. In ogni caso, Osti trova il tempo e la disponibilità di rivivere quell’estate di più di trent’anni fa. Perché alla Juve per lui fu comunque “un’esperienza fondamentale, sportiva ma soprattutto umana. Una palestra di vita e un’occasione per conoscere persone eccezionali con cui sono ancora oggi in contatto: Cabrini, Tardelli, Causio, Gentile, Zoff e tutti gli altri”. Ma per quale motivo chiese di essere ceduto? “Ero un ragazzino, però sapevo che non sarei mai diventato un campione come quelli che avevo in rosa davanti a me. Ero un difensore con tanta grinta e fisicità, non certo dotato di quel talento che aveva, per esempio, uno come Scirea. Ero consapevole della mia dimensione di giocatore da provinciale. Alla Juve ho disputato 12 partite in due stagioni. Tenete conto che allora in panchina andavano solo due riserve oltre al secondo portiere, le rose erano di 16-17 calciatori e le squadre in serie A solo 16. Trapattoni poi come possibili sostituti sceglieva sempre Prandelli che poteva giocare al meglio in diversi ruoli, tra difesa e centrocampo, più un attaccante. La mia decisione era giusta”.

    Osti era arrivato alla Juve dall’Atalanta (passando per un prestito all’Udinese), secondo una trafila tradizionale a quei tempi, per l’amicizia che legava la famiglia bergamasca dei Bortolotti a Boniperti e per un accordo tra gentlemen che destinava alla squadra bianconera tutti i talenti (tanti) di quella nerazzurra. Un equilibrio spezzato poi da Berlusconi quando Donadoni prese la strada del Milan, segnando una svolta storica e cambiando gli equilibri del calcio italiano.

    “Ma io dico che il Boniperti di allora sarebbe un grandissimo presidente anche adesso”, spiega Osti. “Come quando sento dire che Rivera oggi non sarebbe quel fuoriclasse che è stato. Falso, si allenerebbe con i metodi odierni e sarebbe all’altezza dei migliori, eccome. Oggi Tardelli, per fare un esempio, giocherebbe ad anni alterni in tutti i top club del mondo: Juve, Real, Bayern... Così anche Boniperti saprebbe, con gli strumenti attuali, come gestire al meglio una società di altissimo livello”. Viene da pensare a quando Giraudo e gli altri presero possesso del club bianconero e relegarono bruscamente l’ex presidentissimo nel dimenticatoio.

    “Ma la protesta di Rossi, Tardelli e Gentile era motivata e da condividere” aggiunge Osti. “Avevano tutto il diritto di fare quella richiesta. Fu un segnale forte, ma non ancora epocale. Il mondo del calcio sarebbe cambiato realmente solo con la sentenza Bosman, tredici anni più tardi”. E da una svolta epocale all’altra, sarebbe arrivato fino alla realtà di oggi. Da Boniperti a Ferrero.

    Luca Borioni

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