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  • 'Brescia la mia storia':| Bonometti non dimentica

    'Brescia la mia storia':| Bonometti non dimentica

    Il biancazzurro del secolo? «Non lo so, di sicuro ho contribuito a scrivere un quinto della storia del Brescia. Venti anni su cento non sono pochi».
    Ha ragione Stefano Bonometti, 49 anni, primatista di presenze in biancazzurro (422) e nel cuore di tanti, anche di chi all'epoca non gli perdonava nulla. Ma con la sua maglia l'ex centrocampista si è preso delle belle soddisfazioni: «Il trionfo a Wembley nel trofeo Anglo Italiano mi è rimasto nel cuore - assicura il ragazzo delle Fornaci, ora direttore generale del Mantova dopo un lungo periodo al Montichiari -. Nel rivedere la Coppa alla mostra sul centenario di Palazzo Martinengo, mi sono emozionato in maniera incredibile. Eravamo una bella squadra allenata da un grande allenatore, Lucescu: un maestro, il numero uno senza dubbio per come insegnava calcio. E io, da lui, ho imparato tantissimo».

    MA LA FORMAZIONE cui è rimasto più affezionato è quella del doppio salto dalla C1 alla serie B a metà degli anni '80: «Brescia veniva da un periodo incredibile. Tutto cominciò da quel maledetto pomeriggio di Ascoli Piceno».
    È il 24 maggio 1981. Il Brescia si gioca tutto al «Del Duca» contro la squadra di Mazzone: «La classifica in fondo era cortissima. C'era il pericolo di un arrivo in massa al terz'ultimo posto. Ci venne detto che con un pareggio saremmo stati matematicamente salvi».
    Fu la prima volta, nella storia del calcio italiano, che si parlò di classifica avulsa, cioè ricavata dalla somma dei punti negli scontri diretti: «Sì, ci assicurarono che bastava un pari sia noi che all'Ascoli». E in campo le due squadre si comportarono di conseguenza. Fu 0-0 senza colpo ferire. Ma la concatenazione di risultati fece arrivare a 25 punti ben 5 squadre: oltre ad Ascoli e Brescia, anche Avellino, Udinese e Como. Gli scontri diretti penalizzarono i biancazzurri per un solo gol di differenza rispetto al Como, battuto per 1-0 solo una settimana prima al «Rigamonti». Sarebbe bastato il 2-0 per cambiare tutto: «Ancora oggi non so bene di chi fu la colpa di quell'incredibile errore - dice Bonometti -. Forse qualcuno si terrà il segreto per sempre».
    Per fortuna, dopo un'altra retrocessione dalla B e due anni fallimentari in C1, nell'84 partì la riscossa: «Riportammo l'entusiasmo a Brescia - dice - ed è vero che a quella squadra sono affezionatissimo. Con alcuni di quei compagni mi sento tutt'ora: Gritti, Mossini, Aliboni».
    Bonometti è rimasto quasi sempre al Brescia. Nell'estate dell'88, l'impensabile: «Fui ceduto all'Ancona. Fu una decisione presa di comune accordo: io non rientravo più nei programmi della società e avevo voglia di fare un'esperienza nuova, lontano da casa».
    NELLE MARCHE lo vuole Vincenzo Guerini, altro bresciano doc. Nella rosa c'è il portiere Vettore, che arriverà a Brescia due anni dopo. E Bonometti ritrova Sandro Chiodini, un ex ginnasta, granitico stopper della super squadra del doppio salto con Pasinato. Bonometti gioca un campionato di vertice e segna un solo gol. Indovinate dove? «La combinai grossa», e ride a ripensarci. Il 21 gennaio '89, prima di ritorno, a Mompiano c'è l'Ancona. Apre Ciocci, un attaccante sgusciante di scuola Inter e, sul finire del tempo, Bonometti insegue con caparbietà un pallone per spingerlo in rete dopo una corta respinta del portiere biancazzurro Zaninelli: «Fu una sensazione strana. Ma giocavo nell'Ancona».
    Quel pallone smorzato da Zaninelli su tiro di Ciocci sarebbe finito comunque dentro: «Nessuna rivincita da consumare - garantisce -. Con il Brescia mi ero lasciato bene. Tanto che, dopo un anno, tornai per non muovermi più».
    Dopo aver chiuso con i dilettanti della Tecnoleno, in serie D, Bonometti diventa allenatore della Primavera biancazzurra: «Ma a un certo punto il rapporto è finito, e non per mia volontà - ricorda con un pizzico di amaro -. Sognavo di allenare il Brescia, di guidare dalla panchina la mia squadra del cuore. Ma c'è chi l'ha pensata diversamente». Già, Corioni... «Col presidente c'è sempre grande rispetto».


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