Bernardini: scappato di casa per Mora
Nel gioco del calcio, come in quello dell’amore, le regole spesso sono fatte anche per venir disattese. Allora, per esempio, non esisteva un mercato di riparazione per lo scambio di giocatori e Mora era rimasto a Genova. Presidente della FGCI era Umberto Agnelli il quale, allo stesso tempo, era anche il numero uno bianconero. “Honnye soit qui mal y pense”, sta di fatto che a campionato in corso e alla fine di una seduta bollente in Lega la Federazione stabilisce di apporre un correttivo alla legge in vigore: per quindici giorni, a ottobre, si riaprirà il mercato. Manco a dirlo. Bruno Mora la domenica sei novembre esordisce nello Stadio Comunale di Torino con addosso la maglia numero sette bianconera e proprio contro il Milan. Gara epica. L’ex doriano segna un gol e, anche se finirà quattro a tre per rossoneri, il pubblico della Signora ha trovato un nuovo idolo da venerare. Scudetto alla Juventus, dietro l’Inter di Helenio Herrera e Milan a seguire. Il bel ragazzo illusionista del pallone e sciupafemmine si guadagna anche la maglia della nazionale. Ancora non sa, però, che ballerà solamente la stagione successiva a Torino e piu basta. Dopo un campionato a dir poco mortifero di una Juve sfilacciata in difesa verrà ceduto proprio a Milan che per averlo sacrificherà Billy Salvadore.
Ho tempo di godermelo ancora un anno. Allo stadio vado per Sivori e per Mora entrambi “favolosi” come gli Anni Sessanta appena cominciati. Tengo le loro due figurine Panini sul comodino. Poi arriverà quella del Che Guevara. Ho quattordici anni, poca passione per i libri di scuola e soprattutto un senso di profonda ribellione alle regole del collegio salesiano dove dovrei “maturare”. Il momento migliore della giornata arriva quando nel cortile dell’oratorio il “don” di turno ci permette di fare la partita. Vorrei essere Sivori, ma anche Bruno Mora. La pagella del primo trimestre è scandalosa. Niente stadio, la domenica, fino a votazione accettabile. Un’ingiustizia, però, come lamentava Calimero in Carosello. Sabato mattina, alle sette, vigilia di Sampdoria Juventus a Marassi. Mi vesto al buio, infilo nella cartella una maglietta polo e un pullover anziché i libri, svaligio il porcellino salvadanaio (ventimila lire, sono ricco!) esco e salgo sul tram che viaggia all’incontrario rispetto alla scuola. Stazione di Porta Nuova. Un pacchetto di Nazionali con filtro in tasca e un biglietto per Genova Brignole. Una piccola pensione accanto allo stadio dove non mi chiedono manco i documenti che, peraltro, non ho. Un cinema. Una fetta di pizza e una di farinata. La notte in bianco, per senso di colpa e per eccitazione, mentre nella casa di Torino è scoppiato l’inferno con papà, mamma, nonna e anche il barboncino Fritz che attendono buone nuove dalla polizia dove hanno denunciato la fuga del birbante. La domenica dal cielo viene giù il finimondo. Chissà perché soltanto a Genova la pioggia è un diluvio universale. In Curva non c’è riparo. Dopo due ore ono una spugna inzuppata. Ma felice. Tre a due per la Juventus. Tre gol di Bruno Mora. Il resto, cioè quel che seguirà, lo potete immaginare. La fantasia al potere. Però, più avanti e dopo tanto tempo, mi sarebbe piaciuto incontrare Bruno Mora per raccontargli di quell’avventura favolosa come gli Anni Sessanta. Non me ne ha dato il tempo. Se ne andò a quarantanove anni, veloce come la sua Giuilietta Sprint rossa. Di lui conservo ancora la figurina Panini, insieme con quella di Omar. E, naturalmente, quella del Che.
Marco Bernardini