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    Bernardini: Reja, elogio della terza età

    Bernardini: Reja, elogio della terza età

    Non è soltanto per una questione di affinità anagrafica. Mille ed una ragione mi spingono oggi a dire di Edoardo Reja, ex onesto e modesto calciatore al tempo della sua beata gioventù, la cui fama di "buon pastore" inteso come allenatore e guida professionale nel mondo del pallone viene “riscoperta” con puntuale metodicità ogniqualvolta accade qualcosa di speciale. Ieri, per esempio. L’Atalanta che arriva a Roma e che spadroneggia con disinvoltura in lungo e in largo sul prato dell’Olimpico senza che gli avversari giallorossi trovino un qualche sistema per limitare la batosta inattesa. Sulla panca di coloro che sono partiti per vincere o scudetto ci sta il francese Garcia non più emergente ma certezza solida per il calcio internazionale. Almeno, così si dicono i critici e così spinge a pensare l’ingaggio che gli compete per contratto. Sull’altra sponda del fiume, come il personaggio storico creato da Confucio, attende buone nuove dai suoi ragazzi il più anziano fra tutti gli allenatori in attività nel nostro campionato. Edoardo Reja, goriziano di nascita e giramondo per mestiere, che ha compiuto settanta anni l’ottobre scorso. Una doppia doccia gelata per il popolo romanista. Non solo subire il danno sportivo  provocato da un avversario sulla carta sicuramente meno titolato, ma anche la beffa per via che a dirigere le operazioni vincenti del “nemico” c’è niente di meno che un ex laziale. Una domenica bestiale, insomma, per la Roma e per  i suoi amanti.

    La celebrazione del signore in questione è, dunque, pressochè scontata e non solo officiata da parte bergamasca. Si tratta, vivaiddio, della rivincita morale e pratica di una generazione di allenatori rappresentata ormai da pochissimi elementi eppure ancora in grado di vedersela testa a testa con colleghi ben più giovani  e spregiudicati. Uno di costoro è, appunto, Edy Reja seguito a ruota dal tecnico del Torino Giampiero Ventura e più giovane di appena due anni . E’ una consolazione poter fare oggi l’elogio della terza età senza, per questo, scadere nella retorica dell’eterno conflitto generazionale. E’ bello soprattutto perché consente di ribadire quanto e in quale misura il gioco del pallone, dalle sue origini a oggi, continui per fortuna ad essere come l’originale e quindi non governato da astrusi teoremi matematici o geometrici (3-4-1-2, rombo, piramide o quel che vi pare), ma regole semplici e di buon senso. Una di quelle che al mitico paròn Rocco facevano dire: “Vinca il migliore? Va in mona e speremo de no”. Una di quelle che permettono all’Atalanta di mollare due sberle sul viso della Roma e di tornare a casa senza presunzione ma soltanto convinta di aver fatto il proprio dovere. Esattamente come la pensa Edy Reja.

    Lui e pochi altri rimasti ad essere convinti che una partita di pallone, ben lontana dal dover essere una guerra, si risolve a proprio vantaggio seguendo una particolare filosofia di pensiero: la volontà di divertirsi per far divertire, la capacità di non prendersi mai troppo sul serio per non sentirsi invincibilii, il coraggio di esser umili perché boria e presunzione sono brutte bestie, la consapevolezza che solo lavorando seriamente e in maniera compatta il gruppo può arrivare da qualche parte. In buona sostanza si tratta della formula che è un grado di regalare l’eterna giovinezza anche a chi giovane non è più. Gli inglesi, nel calcio, lo hanno capito da tempo. Tant’è, oltre al caso estremo di sir Alex Ferguson, il sessanta per cento degli allenatori in attività ha più di sessant’anni. Da noi restano mitici gli esempi di Carletto Mazzone, di Eugenio Fascetti, di Trapattoni, del buon Gibì Fabbri, di Osvaldo Bagnoli, di Dino Zoff, del mai dimenticato Vujadin Boskov, di Zeman e deli stessi Capello e Lippi  anche loro ormai ben più che maturi. Insieme, come si diceva, a Ventura e Reja portabandiera in prima linea do quella terza età magari un po’ provinciale, ma che sa ancora vincere.

    Marco Bernardini

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