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    Bernardini: Edoardo, un Agnelli da dimenticare

    Bernardini: Edoardo, un Agnelli da dimenticare

    Ho volutamente atteso un giorno, seppure fosse ieri la data commemorativa del suo ultimo volo. Ho atteso invano. Me l’aspettavo, comunque. Nessuno, né in forma ufficiale e neppure in privato, ha voluto ricordare la figura di un uomo troppo gentile e sensibile per poter reggere all’urto di ciò che, per nascita, il destino gli aveva riservato. Così, nel silenzio più assoluto, anche quello stupefacente di Lapo, e sfilato via il momento della memoria e del saluto per Edoardo Agnelli che, esattamente quindici anni fa, cadeva nel vuoto da un ponte sull’autostrada Torino-Savona e si sfracellava sul greto pietroso di un torrente dopo un volo di ottanta metri. Non venne assassinato, come alcuni sospettarono, ma egualmente ciò non vuol dire che al suicidio non sia stato trascinato moralmente.

    Era il figlio dell’avvocato Gianni Agnelli e di donna Marella. Era il soggetto di una dinastia che, in ogni caso, avrebbe potuto legittimamente pretendere di esercitare un ruolo all’interno di quel Palazzo delle Meraviglie che prima il nonno e poi suo padre erano riusciti a edificare sotto il nome della Fiat. Giace nella cappella di famiglia a Villar Perosa insieme con tutti i protagonisti più eccellenti di questo romanzo che possiede il sapore agrodolce di una saga kennediana. Gianni, il patriarca, Umberto, il vicerè, Giovanni Alberto detto Giovannino e l’unico che avrebbe potuto scrivere una storia differente se una stella nera non lo avesse battuto ai dadi, e infine Edoardo. Lui, vissuto senza la corona e morto senza una scorta.

    Mi fu amico, Edoardo. Molto amico. Un termine che ho badato ad usare sempre con estrema prudenza nel corso della mia vita. Una parola troppo importante per essere sprecata oppure offesa da finti rapporti. Un legame, come ho già avuto modo di scrivere trattando la tragedia dell’Heysel, nato nel corso di quella terribile notte belga sui gradini della scala che portavano dal campo allo spogliatoio delle squadre,e proseguito senza interruzione per quindici anni i maniera reciprocamene onesta e disinteressata come deve essere per le amicizie autentiche. Una conoscenza reciproca sempre più profonda con il passare del tempo che oggi mi permette di dire quanto spesso i figli siano destinati a pagare un prezzo smisurato per gli errori commessi dai loro padri.

    Il caso di Edoardo, sotto questo aspetto, è esemplare. L’Avvocato, in quanto a sentimenti e lessico famigliare, fu per dirla con benevolrenza un uomo assolutamente distratto forse perché egli stesso, come i suoi fratelli e sorelle, “vittima” di un rapporto tra genitori sfasciato. Ma appunto e per questo motivo doppiamente colpevole.
    Edoardo non era un manager pur essendo, per linea di sangue, tenuto a dover rispettare le regole imposte da una dinastia certamente non comune. Era un’anima candida e quindi fragile che all’interessamento e alla cura fatalmente maniacale per la “roba” (quella dei Malavoglia di Verga) aveva preferito mettere davanti i sentimenti e la solidarietà attraverso lo strumento del sapere filosofico e religioso in senso ampio. “Più fiori  e meno automobili a Mirafiori”, amava dire ben sapendo che fare una battuta. Ma era una boutade che faceva venire l’orticaria al Potere e che lasciava perplesso suo padre. Un babbo “ignorante” nel senso letterario del termine che non aveva capito (meglio, rifiutava di farlo) quanto poco di pratico andasse cercando suo figlio e quando moltissimo di affettività avesse assoluto bisogno.

    Ebbene tra quel “poco” ci stava una piccola ma preziosa gemma che si chiamava Juventus e che, almeno per salvare le apparenze, avrebbe potuto rappresentare per Edoardo il tradizionale ballo del debutto in società. Proprio come era avvenuto prima per Umberto e poi per Gianni. Chiese con gentilezza ostinata ben più di una volta, Edoardo. Niente di niente.  Neppure questo. L’abbandono più totale da parte di tutti salvo che da Giovannino il quale voleva bene al cugino e sapeva quali corde toccare nella sua anima per renderlo se non proprio felice almeno un poco più sereno. Per questo sono convinto che se il predestinato (per voce ufficiale dell’Avvocato) Giovanni  Alberto non fosse stato fulminato da un cancro mentre stava per cominciare il suo percorso, oggi anche Edoardo sarebbe vivo. Non solo. La Juventus e la stessa Fiat sarebbero gestite in modo diverso. Meglio tacere, dunque, per coloro che sono rimasti per non dover soffrire di vaghi sensi di colpa. Ammesso che riescano a provarli o che sappiano cosa siano.
     
    Marco Bernardini

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