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    Belinelli anima spezzata: il ritorno a Bologna è dalla parte 'sbagliata'. Quando disse: mai più alla Virtus

    Belinelli anima spezzata: il ritorno a Bologna è dalla parte 'sbagliata'. Quando disse: mai più alla Virtus

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Scelta di vita. Ritorno a casa. Nella sua città. Ma. Fermi tutti. Ma dalla parte sbagliata. O forse no. Era quella giusta, solo che ha fatto il giro largo. Dipende dalla prospettiva da cui si considera l’intero percorso. A 34 anni Marco Belinelli lascia la NBA dopo 13 anni e torna a Bologna. Alla Virtus. Lui che con la Fortitudo ha vinto lo storico scudetto del 2005, piedistallo per il suo «American Dream». Un’anima spezzata in due, veleno sparso in questi giorni di sentimenti confusi. Beli nella Virtus c’è entrato a 11 anni e c’è cresciuto da ragazzo, prima di fare il salto dall'altra parte della sponda cittadina quando il club (nel 2003) fallì. Aveva 17 anni. Quella volta furono i virtussini a vivere il «ratto» come un tradimento. Dopo un’accoglienza freddina (all'epoca c'era molta più rivalità di oggi), Marco venne subito adottato dalla Effe. Se alla Virtus era un ragazzino, alla Fortitudo è diventato un uomo. Tanto che nei giorni felici alla Fortitudo, quando l’intero popolo delle Aquile aveva trovato in questo ragazzo la faccia della poster della sua rivincita sportiva/morale sulla Virtus; Beli disse che no, lui alla Virtus non ci avrebbe mai più giocato, perché la Fortitudo era casa sua. Si sa come vanno le cose. Vanno per conto loro, seguendo il filo (legittimo) di una carriera.

    Lo sport è scelta, destino, legami di sangue, interessi personali, ambizioni da rimettere in circolo, amore e tradimenti. All'annuncio del suo passaggio alla Virtus, la Fossa dei Leoni - anima della tifoseria Fortitudo - non l'ha presa bene. Nella sua cittadina, a San Giovanni in Persiceto, a pochi chilometri da Bologna; l’altra notte sono stati appesi un paio di striscioni offensivi. Pagliaccio. Mercenario. Così si è manifestato il risentimento di chi l'ha amato. Da Dino Meneghin, per restare nel basket, che fece il percorso Varese-Milano, fino a Figo (dal Barcellona al Real con tanto di testa di maiale come accoglienza al primo ritorno al Nou Camp), da Capello («Mai alla Juve dei gesuiti», disse quand’era a Roma) fino a Mihajlovic, giocatore e vice-allenatore dell'Inter poi di passaggio sulla panchina del Milan; i trasferimenti che mettono in gioco il cuore sono una tradizione dello sport. Stavolta tocca a Belinelli. I tempi sono cambiati, ma una parte della città non ha dimenticato.

    La NBA del Beli è stata questa: 13 stagioni, 9 club diversi, oltre 900 partite tra regular season e playoff, l’inizio in salita tra Golden State (scelto nel 2007, 1° europeo e 18° assoluto al Draft) e Toronto, l'identità ritrovata a New Orleans, l'affermazione a Chicago, la vittoria nella gara da tre punti, il trionfo nell’anno dell’anello vinto con i Spurs di San Antonio nel 2014 (con il 4-1 sugli Heat di LeBron James), infine Sacramento, Hornets, Atlanta, Philadelphia, tappe frenetiche di un percorso lunghissimo. Bilancio da star, anche per il conto in banca. Sono oltre 50 i milioni di dollari incassati in questi anni. Con Beli la Virtus fa il salto di qualità. La caccia a Milano è già partita. Il 6 dicembre il debutto ufficiale, contro Sassari. Avrà la maglia n.3. Obiettivo già dichiarato: l’Eurolega, mai vinta dal bolognese. Tutti i dettagli del contratto di Belinelli sono stati studiati a fondo dai due fratelli procuratori, Enrico e Umberto: guadagnerà circa 4,5 milioni all’anno, contratto triennale, garantitogli da Massimo Zanetti, patron della Segafredo, sponsor della Virtus, caffè e ammazzacaffè per il ritorno del figliol prodigo. «I’m back» scrive sui social Beli, per poi aggiungere: «Sono molto contento di iniziare questo progetto con la Virtus». Giusto, legittimo. Ma non ditelo a quelli della Fortitudo. 

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