Batistuta junior: 'Io, babbo, Firenze ed il calcio'
L.C.
La faccia è proprio quella. Occhi vispi e zigomi… alla Bati. Niente criniera però, capello corto. Il figlio del Re Leone è ancora un cucciolo. Un baby Batistuta, di nuovo a Firenze. «Non mi ricordo molto, ero troppo piccolo, però so che abbiamo vissuto nella casa di Roberto Baggio». Lucas se ne è andato che era un bambino e adesso, a 18 anni, è tornato. Abita a (e gioca nel) Porta Romana, in un appartamento di tre stanze. «Piccolo ma bello». E poi può andare al campo, alle «Due Strade», a piedi, o in bus (non ha ancora la patente). «Ma viene quasi sempre a prendermi Matteo (Locchi, suo compagno di squadra, ndr)». Piano, piano, sta riprendendo contatto con la città che ha dentro, dove, secondo dei tre Batistuta fiorentini, è nato nel 1996, l’anno del grido «Irina te amo». Due Strade, il suo piccolo mondo. Dopo aver raccolto i palloni a fine allenamento e la doccia, per la prima volta lo racconta. «Non avevo mai vissuto lontano dalla famiglia, ma ci sono Skype e WhatsApp». Sorride. Spesso, per via del fuso orario, tira le ore piccole in chat con la sua Dalila («Abbiamo fatto il liceo insieme»). – ha raccontato al quotidiano Corriere fiorentino - La aspetta qua, dove ora c’è la sua vita. «Ogni giovedì andiamo al “Pipistrello”, là vicino, a mangiare la pizza con la squadra. La pizza mi fa impazzire e anche la pasta». Eredità di gioventù. «Mamma ha imparato qui a cucinarle. Ora che sono solo vado a fare la spesa con Emilio (il cuoco, ndr)». Intervengono — con un sorriso — Lorenzo Taiti, il ds, e Alessandro Gazzareni, una delle anime del Porta Romana. «Meno male, sennò chissà che compra». Lo tengono d’occhio sul peso, ma anche sul resto. «Il padre si raccomanda tutti i giorni». Una parte importante della sua Little Italy è Stefano Fiorini, che è stato preparatore atletico della Fiorentina di papà Gabriel, e si è occupato delle gambe del campione anche nei momenti più difficili dopo il ritiro, i dolori atroci e le operazioni alle caviglie che lo hanno rimesso in piedi. E poi il giornalista-amico Mario Tenerani, a stargli accanto e ricordargli i luoghi di un’infanzia speciale. «Hobby? Il calcio. Ho messo Sky, guardo tutto. Premier, Liga, Bundesliga. E su Internet il campionato argentino». E l’amato Boca. «Eh sì, così è contento il babbo». Lo chiama proprio così, alla toscana, reminiscenza di un italiano comunque già fluente. «Siamo gli unici in casa, mamma e gli altri fratelli tifano River». Mentre il viola mette tutti d’accordo. «Certo, in Italia solo Fiorentina. Adoro Cuadrado». Ma gli idoli sono i centravanti, sudamericani. «Gomez è in crisi psicologica, la porta diventa piccola piccola. Adoro Tevez, Higuain e Falcao». Lucas ha cominciato tardi a giocare, attaccante ovviamente, una volta finito il giro del mondo che, dopo l’Italia («Firenze e Roma, a Milano non siamo andati», spiega), ha portato i Batistuta in Qatar, in Australia, prima del ritorno in Argentina. «Ho iniziato a 14 anni nel Platense, poi Colon di Santa Fè e Boca Unidos». Ma non aveva mai giocato in una prima squadra. Il destino ha voluto che lo facesse nel posto in cui è nato. «Quest’estate gli amici del babbo me lo avevano proposto, ma lui non voleva. Poi un giorno viene da me e mi fa “Sabato parti per Firenze”». Cosa significhi se ne è accorto passeggiando per la città, dalle foto nei bar, santini ingialliti che ritraggono il padre vestito di viola alla bandierina, con il dito alla bocca o la «mitraglia», oppure immortalato tra gli avventori con dedica. E’ come se il figlio di Maradona giocasse a Napoli, e Lucas lo sa. «Al babbo non piace parlare del passato. Mi lascia tranquillo, mi dice solo che niente e impossibile, uno può essere bravo o meno, ma nel calcio serve cuore, grinta, impegno. Quelli ci devono essere sempre». L’ha preso in parola. I dirigenti dicono di lui che, oltre ad avere margini di crescita naturali, a volte va addirittura frenata la sua generosità. Dopo sei mesi di attesa, perché le carte per il passaporto italiano e tutti i permessi fossero in ordine, domenica scorsa l’esordio da titolare con i grandi, nel Porta Romana, campionato di Eccellenza. Ha sfiorato la rete, ha bisticciato con gli avversari, la tempra c’è. A dispetto del viso da ragazzino. «No, nessuno mi riconosce in giro, per fortuna! Una volta sono andato all’allenamento col babbo e c’era gente ovunque, ci sono saliti sulla macchina, incredibile». Eppure guardandolo, la faccia è proprio quella. Di chi sogna il (primo baby Bati) gol. E Firenze gli vorrà bene comunque. Come a un figlio.