Barcellona peggio di Calciopoli: la Juve non pagò mai arbitri e designatori. Plusvalenze, il processo è regolare?
Il tempo e, inevitabilmente, altri indagini diranno se si tratta di eccezioni o se il malcostume è generalizzato e, per ora, mimetizzato.
Intanto chi, attraverso il talebano presidente della Liga, Tebas, dava lezioni di moralità ad altri è alle prese con una Calciopoli che più Calciopoli non si può. Tanto per essere chiari, la Juventus, che, nel 2006, fu punita con la revoca di due scudetti e la retrocessione con penalizzazione in serie B, non aveva mai pagato né gli arbitri, né i designatori, né l’Aia. Non lo dico io, lo dicono le carte delle inchieste penali di allora. Il Barcellona, invece, ha foraggiato il vice capo degli arbitri spagnoli, per non meglio precisate consulenze, con una cifra strabiliante, già di per se stessa indice di colpevolezza assoluta: 1.400.000 euro.
Sempre l’ineffabile Tebas, fin da ieri, si è preoccupoato di spiegare che, trattandosi di una vicenda di cinque anni fa, è sportivamente prescritta e il Barcellona, ancorché colpevole, non è punibile. Tuttavia l’opinione pubblica spagnola e il mondo del calcio in generale farebbero bene a domandarsi se un illecito del genere, con pochi precedenti nel mondo, possa essere archiviato solo per una ragione formale. Sorprende che nessuno nelle istituzioni del calcio parli di etica.
Il caso giudiziario del City assomiglia a quello attuale della Juventus. La differenza sostanziale è che, per le oltre cento violazioni delle norme che regolano la Premier, i tempi saranno lunghi e i procedimenti articolati. In Italia, al contrario, è già stata irrogata una sanzione (il famoso meno 15) a campionato in corso e altre se ne attendono per i prossimi mesi. La domanda è: siamo in presenza di regolari processi, in cui anche la difesa abbia garantiti i propri diritti, o parliamo di sentenze che si basano solo su intercettazioni e sull’assenza di contraddittorio? E perché mai il verdetto della Corte d’appello può essere contestato, dal collegio di garanzia del Coni, solo per eventuali vizi di forma e non per le motivazioni, ovvero la sostanza?
Non è compito mio stabilire se la giustizia sportiva sia giusta solo per il fatto che sia rapida. Ricordo solo sommessamente che in primo e secondo grado questa giustizia che, con un aggettivo spregiativo viene definita “domestica” (per non dire dilettantesca), aveva assolto sia la Juve, sia gli altri club coinvolti nella vicenda delle plusvalenze, perché l’oggettiva valutazione dei calciatori è di fatto impossibile. Com’è stata possibile una discrasia di giudizio tra i primi processi e quello per revocazione? Possibile che solo le intercettazioni abbiano appesantito il quadro accusatorio della Juve? Ma qual era, poi, questo quadro accusatorio di cui nessuno ha avuto contezza?
Il punto, dunque, non è chi è o chi non è colpevole. Ma chi giudica cosa. Ora che le 19 altre società della Premier chiedano la retrocessione del Manchester City può essere comprensibile, ma non spetta a loro farlo, perché, oltre a non essere organi giudicanti, la loro richiesta di giustizia è sommaria e faziosa.
Nel frattempo, esattamente come ha fatto il City, ci sono club, come il Chelsea o il Paris Saint Germain, che dopano il mercato con operazioni senza competizione. Un esempio eloquente: nelle sessioni estiva ed invernale, il Chelsea ha speso 686 milioni di euro per essere decimo in Premier e sconfitto dal Borussia Dortmund nell’andata degli ottavi di finale di Champions League.
Perché ciò è consentito? Perché non si indaga sui conti anche dei londinesi? E quali sarebbero le norme preventive per evitare incongruità mastodontiche?
Personalmente sarei per la creazione di un organo di giustizia internazionale e sganciato dall’Uefa, che riscriva le regole amministrative e provveda a comminare pene secondo un codice comune. La giustizia domestica non può essere all’altezza della più redditizia attività sportiva d’Europa.